UGC no, ma IDC forse si

Giovanni Calia produce una interessantissima analisi sullo User Generated Content, nella quale si dimostra che il contenuto bottom-up non è voluminoso e non è in grado di sostenersi da solo, mentre molto più ricco invece lo scambio di relazioni umane dimostrato dal volume di scambio su Facebook.
Condivido appieno l’analisi, ma provo a spingerla un passo più avanti.

Dice Giovanni, sulla scarsa monetizzazione dell’UGC: “La blogosfera italiana ne è un esempio lampante. A parte pochi rari casi, è un rincorrersi a vicenda”. Il caso italiano non può essere preso ad esempio: l’audience di lingua italiana è numericamente irrisoria e non giustifica code lunghe di alcun tipo, ed è quindi evidente che nel corso del tempo la produzione di contenuto si è stabilizzata (e non poteva che essere così) su una forma amatoriale, o funzionale ad obiettivi di visibilità nel settore social media. Qui c’è già un primo punto: in realtà ci sono diversi blogger o produttori indipendenti di contenuti in lingua inglese, che vivono onestamente producendo contenuti di varia natura. La vera domanda è: possiamo chiamare UGC questo contenuto? La risposta secondo me è NO. Questo contenuto, tanto per giocare con gli acronimi, preferisco chiamarlo IDC (independent disintermediated content)

L’IDC è contenuto di qualità, prodotto da individui competenti ed indipendenti, che saltano tutti i passi della catena produttiva e molti di quella distributiva, che conoscono le dinamiche dei media sociali, e che sanno monetizzare la propria produzione per ricavarne un income ragionevole, o comunque corrispondente al costo della produzione più un adeguato margine.

L’IDC non solo non è morto, ma gode di salute crescente per almeno un paio ragioni:

  • Ha un valore. Nonostante la democratizzazione dei mezzi di produzione di contenuto, i produttori di IDC sono pochi, e la qualità è generalmente medio alta. E’ vero che ancora si tratta di contenuti legati alla rete, e quindi piuttosto autoreferenziali, ma le cose stanno cominciando a cambiare e cambieranno rapidamente.
  • l’IDC è adatto sia a media mainstream e a social media, con livelli di disintermediazione diversi. Questo comporta una elevata monetizzabilità e un interessante bacino per gli editori mainstream, che possono far affidamento su qualità, continuità e professionalità a costi competitivi.
  • la sua natività sociale/digitale lo pone più avanti di contenuti i cui producer inseguono la rete. Questo è un vantaggio competitivo stabile, che può rafforzarsi col tempo. E’ molto più facile cambiare crafting e strategie distributive per un produttore di IDC, che per chi deve smuovere ogni volta una portaerei editoriale.

A suivre.

3 Comments

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  1. Ciao,
    ti riporto la risposta che ho dato nei commenti che in punta proprio a spiegare che indipendentemente dal contenuto di qualità o meno, senza la parte alta della coda di Anderson, quel contenuto, anche se ottimo, morirà. Sono tra l’altro convinto che quella della “punta dolce” sia una teoria molto molto più opportuna di quella di Anderson. Ne parlavo qui http://estrablog.net/2007/06/06/evoluzioni-teoriche-dalla-coda-lunga/

    Qui il commento:

    “L’UGC ha permesso la creazione di nuovi format distribuiti in modalità del tutto nuove, ma la teoria di Anderson, che ritengo in parte superata, non permette alle nicchie di sopravvivere autonomamente. Il contenuto di nicchia non può esistere fintanto che qualcuno non lo avrà monetizzato. Per monetizzarlo e per permettere a quel contenuto di continuare ad esistere, l’adsense di google non basta. E’ un dato di fatto.
    Per poter monetizzare quel contenuto, c’è inevitabilmente bisogno di includerlo in canali di distribuzione di massa. Questo implica che il contenuto costruito per essere distribuito in una precisa modalità, debba inevitabilmente cambiare, perchè cambia il mezzo in cui esso viene distribuito (McLuhan)…o magari, come accade in Current, è il mezzo di distribuzione che si avvicina a quel contenuto contenuto il più possibile.
    Morale della favola? Il contenuto generato e distribuito dal basso (è questa la simbiosi dominante nell’idea di inizio secolo), non può vivere perchè non saprebbe come farlo.
    I contenuti generati dal basso esistono ed esisteranno (non è un caso che dico questo su un blog), ma così come per la musica, per la fotografia, per i contenuti puramente testuali o per i video, ciò che cambia è la distribuzione e di seguito quindi, in parte anche il messaggio.
    I contenuti interessanti e di qualità che si trovano in giro, esistono fintanto che chi li produce è in grado di sostenerli economicamente. Se questo smetterà di succedere, aimè, anche quei contenuti smetteranno di essere prodotti, così come già è successo in molti casi.

    Diverso, come ho scritto, è parlare di strumenti Web in grado di connettere persone. Questo blog, come tantissimi altri, è il primo strumento dell’era 2.0 che ha permesso più che generare contenuti, di permettere la creazione di un network di persone, ed è sostenibile perchè ho la possibilità di sostenerlo autonomamente senza il supporto di pubblicità. Capita però che non riesca ad essere costante, che non riesca ad offrire un prodotto frequente e approfondito, per cui lo abbandono a momenti. Se dovesse capitare che la spesa (economica e d’impegno personale) dovesse crescere, probabilmente questo blog smetterebbe di esistere.
    Vimeo, come youtube e come tutte le altre piattaforme di videosharing, stanno cambiando radicalmente rispetto al modello iniziale. A tal proposito non è un caso se youtube a distanza di anni non sia in grado di monetizzare abbastanza da sostenere le spese, mente Hulu in pochissimo tempo abbia già generato abbastanza revenue da superare youtube come volume di affari.
    In questo caso il contenuto è un fattore decisivo.”

  2. Interessanti considerazioni su cui sto riflettendo e conto di risponderti con un post. Credo che ci sia ancora spazio per gli UGC, ma il lavoro di selezione sarà spietato.

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