Tracce digitali, identità socializzante, e nuovi vettori. Serve ancora un blog?

Riprendo da Luca la citazione dal Chicago Tribune a proposito del minimal posting rappresentato da nuovi strumenti come Twitter e Tumblr.

Con Tumblr e Twitter i lettori sono come detective, intenti a comporre i brevi articoli per formare una fotografia mentale di chi sia l’autore, che cosa lui o lei pensi sia importante o fico, chi siano i suoi amici. L’autore, dall’altro lato, usa questi frammenti per mostrare, non raccontare, il suo mondo.

Forse mi sbaglio, ma penso che quello che sta accadendo non è tanto la nascita di un altro modo di comunicare, parallelo all’ormai consolidato blogging, quanto piuttosto una nuova ridefinizione del modo di comunicare, che potrebbe lentamente conquistarsi spazio e modificare strutturalmente la webosfera (e oltre), come accadde in seguito all’esplosione del blog come nuova formalizzazione di erogazione di contenuti.

I driver principali della rivoluzione del blogging sono stati senza dubbio due: l’abbassamento drastico della barriera d’ingresso, e la condivisione di struttura formale e tecnologia di supporto. L’effetto principale di questa rivoluzione, è stata la progressiva archiviazione del concetto di sito personale, ormai quasi completamente sostituito dal blog.

Già da tempo, sto seguendo con interesse sornione il dilagare di servizi di social networking, e già da tempo, constatando il fatto che in molti abbiamo account un po’ ovunque (digital traces le chiamava Derek Powazek), mi chiedo se non sia arrivato il momento di trasformare il nostro sito personale in una semplice mappatura di queste tracce digitali, che ci rappresentano più di quanto potremmo fare da soli in un solo sito, in luoghi dove più facilmente possiamo incrociare i nostri interessi con quelli di altri. Per intenderci: mettendo insieme gli account su Flickr, su Last.fm, su YouTube, su 2spaghi, ecc. ecc. emerge un profilo e una quantità di contenuti ampiamente sufficienti a dipingere e proporre la propria identità socializzante.
Bene, quel che penso ora è che Twitter e Tumblr potrebbero essere addirittura un ulteriore passo avanti: e se fossero i primi esempi di vettori delocalizzati delle tracce digitali della nostra identità socializzante, che potrebbero far perdere di senso anche il solo “possedere” un sito personale?.

Dopo tutto ciò, serve ancora un blog?

4 Comments

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  1. Leggevo da qualche parte proprio oggi che questo web depuntozero assomiglia molto al PC nell’era di MS-DOS (anni ottanta), quando ogni applicazione si prendeva tutti i 640KB di RAM e ignorava completamente l’esistenza delle altre.

    Ecco, occorre che qualcuno inventi il blocco degli appunti per le applicazioni web

  2. Non la vedo così…. o meglio, andrebbe fatta una distinzione fra i social network totalizzanti e i servizi verticali e specializzati. Sui primi hai straragione, i secondi hanno invece perfettamente senso in un contesto dove il social network è la rete e non un dominio. Su Flickr tengo le foto, su Last.fm tengo e gestisco i miei gusti musicali, su 2spaghi gestisco i ristoranti preferiti, ecc ecc.
    Mi pesa avere un account su Myspace, Virb e Vox, non mi pesa averlo su Flickr, 2spaghi, Last.fm.

  3. bene, gli account e le password proliferano mentre distribuiamo in giro pezzi di identità digitale in cambio di servizi che in realtà non ci servono piu’ di tanto. mi sembra che il web 2.0 assomigli a quell’eroico periodo in cui masterizzavamo i cd riempendoli di software che raramente utilizzavamo 🙂

  4. Io sono d’accordo con il modo di vedere di Biccio.
    Ma aggiungo: questi frammenti di identità dovranno pur convergere da qualche parte, no?
    O lo fai con una fredda lista di link, tipo claimID, oppure hai una pagina hub aggrgatore, che accentra tutto mostrando la tua identità in forma di immagini, musica, parole e video. Ecco, questa pagina hub è quello che secondo me può diventare (sta diventando?) il blog.

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