social networks

Stemmings. Prenditi una pausa.

Stemmings è un blog collettivo che raccoglie saggi brevi su design e tecnologia, con un approccio narrativo lineare e slow molto raro di questi tempi. Leggendone i post, ho avuto modo di ritrovarmi in quel clima di web readings più meditato e rarefatto in uso nei primi anni del 2000 (penso ad esempio a The Fray, ma anche a molti blog della prima ora), con una particolare attenzione a grafica e tipografia, lontano dalla frenesia che molti di noi vivono su Facebook e Twitter.

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Il tuo blog come carta d’identità

Un’interessante post di Anna Zelenka su GigaOM discute la possibilità che il proprio blog basato su un’installazione di WordPress (e aggiungerei, qualunque altra presenza strutturata personale in rete) possa diventare un nodo di quel social networking distribuito di cui tanto si discute in questo periodo (vedi The Social Graph problem di Brad Fitzpatrick), citando gli esperimenti di Steve Ivy (vedi DiSo) per esporre la propria contact list verso altre community.

In sostanza, perchè registrarsi in duecentomila social network e ogni volta riaggiungere i propri amici? (citando Brian Clark, “è come ristrutturare la cucina di una casa in affitto”). Beh, la risposta (shortsighted) è semplice: ogni social network tira acqua al suo mulino. Ma in effetti, cosa succederebbe se io potessi partire dalla mia identità online rappresentata per (buon) esempio da un blog, e potessi associare la mia identità (open ID, amici, ecc) a vari social network? Succederebbe che l’attività di social networking sarebbe in generale più elevata, e che il focus di ognuno di essi sarebbe il contenuto e il plusvalore offerto. Il numero di utenti “associati” conta quanto il numero di utenti “registrati”, quindi il tema della patrimonializzazione del proprio asset è salva; inoltre, la social network portability risolverebbe la barriera d’ingresso della registrazione e dell’avvio della propria attività in ogni nuovo luogo virtuale.

Certo, è possibile che un approccio di questo tipo finisca col privilegiare le community fortemente tematizzate (come Last.fm) a danno di quelle più generaliste (Myspace, Facebook), ma mi pare difficile riuscire a contrastare un fenomeno che da’ la sensazione seria di voler prendere piede e di diventare quello che già si chiama web 3.0.

Fabbriche di social networks

Dopo ning.com, anche me.com lancia un servizio che consente di creare il proprio social network. Le caratteristiche sono più o meno simili, anche se me.com sembra effettivamente più orientato al cloning di MySpace, come giustamente fa notare Kristen Nicole. Indubbiamente la “coda lunga” può portare al successo un sistema di communities fortemente di nicchia, ma continuo ad avere la sensazione che, con un approccio di questo tipo, difficilmente si potrà garantire lo stesso florido successo di newsgroup, forum e mailing list, che certo richiedevano un minore effort da parte degli utenti.
Ma attenzione, me.com è basato su un engine che si chiama Snapp, che prevede varie tipologie di servizio: da un’offerta free molto basic, fino al poter avviare un proprio social network completamente customizzato e brandizzato, fornito di apposite custom API.
Ecco, mi pare di poter dire che un sistema che preveda una reale interoperabilità con altri sistemi, possa a quel punto giovarsi di quell’energia distribuita (in entrata e in uscita) che può far crescere esponenzialmente una community molto oltre la capacità reale degli utenti che la animano, e può quindi decretarne un successo, anche se solo di nicchia, che non credo sia possibile in sistemi chiusi e autosufficienti.
O no?

Tracce digitali, identità socializzante, e nuovi vettori. Serve ancora un blog?

Riprendo da Luca la citazione dal Chicago Tribune a proposito del minimal posting rappresentato da nuovi strumenti come Twitter e Tumblr.

Con Tumblr e Twitter i lettori sono come detective, intenti a comporre i brevi articoli per formare una fotografia mentale di chi sia l’autore, che cosa lui o lei pensi sia importante o fico, chi siano i suoi amici. L’autore, dall’altro lato, usa questi frammenti per mostrare, non raccontare, il suo mondo.

Forse mi sbaglio, ma penso che quello che sta accadendo non è tanto la nascita di un altro modo di comunicare, parallelo all’ormai consolidato blogging, quanto piuttosto una nuova ridefinizione del modo di comunicare, che potrebbe lentamente conquistarsi spazio e modificare strutturalmente la webosfera (e oltre), come accadde in seguito all’esplosione del blog come nuova formalizzazione di erogazione di contenuti.

I driver principali della rivoluzione del blogging sono stati senza dubbio due: l’abbassamento drastico della barriera d’ingresso, e la condivisione di struttura formale e tecnologia di supporto. L’effetto principale di questa rivoluzione, è stata la progressiva archiviazione del concetto di sito personale, ormai quasi completamente sostituito dal blog.

Già da tempo, sto seguendo con interesse sornione il dilagare di servizi di social networking, e già da tempo, constatando il fatto che in molti abbiamo account un po’ ovunque (digital traces le chiamava Derek Powazek), mi chiedo se non sia arrivato il momento di trasformare il nostro sito personale in una semplice mappatura di queste tracce digitali, che ci rappresentano più di quanto potremmo fare da soli in un solo sito, in luoghi dove più facilmente possiamo incrociare i nostri interessi con quelli di altri. Per intenderci: mettendo insieme gli account su Flickr, su Last.fm, su YouTube, su 2spaghi, ecc. ecc. emerge un profilo e una quantità di contenuti ampiamente sufficienti a dipingere e proporre la propria identità socializzante.
Bene, quel che penso ora è che Twitter e Tumblr potrebbero essere addirittura un ulteriore passo avanti: e se fossero i primi esempi di vettori delocalizzati delle tracce digitali della nostra identità socializzante, che potrebbero far perdere di senso anche il solo “possedere” un sito personale?.

Dopo tutto ciò, serve ancora un blog?

8 modi per usare Twitter professionalmente

Anne Zelenka, si prende la briga di rispondere alle critiche di Mat Balez sull’effettivo valore di Twitter, compilando una lista di 8 modi per usarlo professionalmente. Si tratta di una lista assolutamente interessante e non pretestuosa (e poteva starci, siamo uomini di mondo e conosciamo il marketing 2.0), che illustra in modo lineare quanto sia diverso il senso di Twitter da quello di un IM o di qualsiasi altra piattaforma di blog, e forte la sua connotazione di driver fondamentale di quella zona grigia tra il personale e il professionale, che sembra diventare sempre più ampia e sempre più decisiva.
Alla fine, non mi pare di dire una bestialità (o sì?), se dico che se Linkedin fosse un IM, sarebbe Twitter… (oddio, c’ho detto)?

Leggete la Zelenka va, è meglio….. 🙂