Nel suo editoriale di oggi su La Stampa, riferendosi alla campagna elettorale americana, Gianni Riotta presenta Big Data (nome proprio, maiuscolo), come una “nuova tecnica di analisi e ricerca di umori ed opinioni degli elettori”
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In questi giorno sto leggendo “The filter bubble” di Eli Pariser, già fondatore di Avaaz.org, la cui tesi è che l’introduzione della personalizzazione dei risultati di ricerca di Google, e i flussi di contenuti personalizzati di Facebook e Twitter, stanno delineando un’infosfera personale, filtrata e ristretta che potremmo non percepire come tale. Il rischio è che l’abitudine e la perdita di cognizione del filtro a monte ci restituiscano l’equazione realtà personalizzata = realtà reale. Se quindi dal lato broadcast la lettura dei quotidiani partigiani o il livellamento verso il basso delle tv generaliste escludono di fatto il confronto con idee nuove o semplicemente “altre”, dal lato crowdcasting l’ecosistema internet che si direbbe aperto per definizione rischia di essere così tagliato su misura da escludere idee e suggestioni alternative – con il rischio aggiuntivo di convincerci nel tempo che ciò che leggiamo sui “muri” dei nostri amici è tutto ciò che esiste e che c’è da sapere.
LeggiHo cominciato a lavorare e versare contributi nel 1992. Tra alti e bassi e varie configurazioni (partita IVA, contratti a progetto, emolumenti da amministratore delegato, e INPS + ENPALS), nel 2012 avrò lavorato per vent’anni. Tra i nati negli anni intorno al ’69, il mio anno di nascita, mi considero fortunato per due ragioni: la prima è che ho cominciato a lavorare piuttosto presto rispetto alla media; la seconda è che ho seguito molto da vicino l’innovazione tecnologica (strumenti e processi), perchè è sempre stata parte integrante della mia attività professionale.
Perché la seconda ragione è importante?
LeggiSe per un attimo lasciamo da parte i messaggi ugualmente massimalisti, ad uso esclusivo dei titoli in corpo 40 dei giornali – “va tutto bene, i mercati non c’entrano con la politica”, “va tutto male, è colpa della casta” e via discorrendo – e se per un attimo spegnamo sia le agiografie minzoliniane, sia le drammatizzazioni sceneggiate e punteggiate dai violini di Daniel Bacalov, nel sommesso brusio del quotidiano dove dieci minuti sono dieci minuti, e 8 ore sono 8 ore (trascorse in fila alla posta, o a controllare i bonifici, o a litigare con un cliente, un capo, o un dipendente), la realtà la vediamo lì, proprio davanti ai nostri occhi. Il pasto nudo, lo chiamava Jack Kerouac suggerendo a William Burroughs il titolo della sua opera maggiore, “un attimo raggelato in cui ognuno vede quello che c’è in cima ad ogni forchetta”.
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Cè un aspetto che mi ha colpito nella reazione dei notabili del centro destra dopo la sonora scoppola elettorale, e provo a spiegarlo.
Negli anni di sostanziale dominio politico e culturale del giro Bossi-Berlusconi (cioè fino a ieri), ci è stato fatto intendere che il centrosinistra non era in grado di ascoltare la “pancia del paese”. Ve lo ricordate, no? Dicevano che il centrosinistra era ancora legato agli schemi ideologici novecenteschi, che la realtà era cambiata, che i bisogni del paese profondo erano diversi da quel che dell’altro lato si credeva e si intendeva. Una cultura politica post-ideologica, ci si disse, dove i vecchi schieramenti destra-sinistra non contavano più, dove le ricette passavano per l’interpretazione dei “bisogni del popolo”. E giù con le ronde, col fascismo economico spacciato per liberismo, con il velinismo come risposta al precariato, eccetera.
Passano gli anni, e si arriva alle Elezioni Amministrative 2011. Le elezioni locali, come si sa, sono il miglior termometro politico per misurare i mutamenti sociali in atto e “in nuce”, e i risultati li conosciamo tutti. Cosa è successo? E’ cambiato il sentire delle viscere degli italiani? Forse. Ma è lecito però anche un altro pensiero, che mettiamo in forma di domanda: sarà mica che il centrodestra ha cercato di convincerci tutti che il nostro vicino voleva arrostire i musulmani e i gay, un po’ come quando la polizia cerca di farti confessare dicendoti che il tuo compare lo ha già fatto? Bene, il dubbio ce lo hanno fugato gli stessi notabili del centrodestra, che a caldo dopo le elezioni si sono preoccupati di dire immediatamente che i cittadini “si pentiranno della loro decisione” e che “non hanno capito le cose che sono state fatte”. Una reazione scomposta, e niente affatto post-ideologica. Anzi.
Ora però, come si suol dire, il re è nudo, l’omuncolo è uscito dal mascherone come nel Mago di OZ, e abbiamo toccato con mano che nelle realtà locali, quelle dove la vita vissuta è più vicina a chi gestisce le redini della democrazia, esiste un’idea ampiamente maggioritaria di tolleranza, di rispetto reciproco e di bisogno di pacificazione che è funzionale al miglioramento della qualità della vita, e non è invece buonismo d’accatto per garantirsi un’indulgenza. E il centrodestra ha di fronte a se una scelta: o cambia politica, in ossequio al progetto originario di avere sintonia con la pancia del paese, oppure continua con l’approccio ideologico di sempre.