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Raccontiamo le storie vere. O moriremo di Brunetta.

Ho sempre amato le crude asperità racchiuse in un guscio di intelligente equilibrio. Sarà per questo che ho così tanto apprezzato questo post di Fulvia De Feo (che prima non conoscevo, adesso sì, e va bene così), fatto di parole morbidamente taglienti, calde e vissute.

Fulvia prende al volo lo spunto della vignetta di Biani contro Brunetta, che tanto ha fatto discutere, e lo fa lavorando di cesello su quel cuneo invisibile ma enorme che c’è fra il mondo reale e la vignetta di Biani, quel cuneo che ha fatto gridare allo scandalo perchè è un urlo improvviso emerso da sotto un tappeto di omertà, comodo silenzio, e semplificazione demagogica.

Io volevo solo dire che sono stanca. Che l’entusiasmo, la voglia di fare bene il mio mestiere, mi sta diventando una specie di ricordo, e che non c’è sensazione più amara di questa. Ti perdi, proprio, schiacciata in un’immagine di te che non è tua e a cui, alla fine, ti pieghi per stanchezza e perché sopravvivere si deve. Ti va a pezzi l’identità, davvero. Non si fida di noi, lo Stato? Evvabbe’, faccia come crede. Ci arrangeremo. Ci daremo come obiettivo l’arrivare a fine giornata e al diavolo il resto. Chi cavolo ce lo fa fare.

Figurati: ci sono scuole dove non possiamo manco maneggiare la fotocopiatrice, ché si vede che hanno paura che gli rubiamo la carta. Non ci è permesso toccarla, dico davvero. E una dovrebbe preparare attività, dare materiale ai ragazzi e proporre cose facendosi precedere da richieste scritte, firmate, controfirmate, giustificate e motivate e avanzate con una settimana di anticipo? Per cosa? Perché le è venuto in mente un modo per fare imparare meglio qualcosa ai ragazzi e quindi le servono 15 fotocopie? E deve dimostrare che non li vuole rubare, i 15 fogli di carta?

Capito qual’è il punto? Beh, ho una storia da raccontare anche io.

Ho un amica quarantenne che da quest’anno ha iniziato l’insegnamento dell’educazione artistica nelle scuole medie, dopo anni di pazienza burocratica. Insegna in 8 classi di due difficilissime scuole dell’hinterland romano. Ha a che fare tutti i giorni con bambini difficili, cresciuti in ambienti insani, dove il problema non è far capire la bellezza di un pastello colorato, ma far capire la necessità di non picchiare altri ragazzini e urlare oscenità alla preside, mentre una bambina cinese chiude gli occhi e piange perchè non capisce un accidenti. La mia amica ogni mattina si alza all’alba e va a combattere per la sua vita, per portare due soldi a casa insegnando cose che ama mentre intorno qualcuno mette a ferro e fuoco le aule, e gli insegnanti più anziani le insegnano tattiche di sopravvivenza e trucchi del mestiere. E tutto questo prima ancora di capire quali saranno gli effetti della stretta. E allora? Come la riassumiamo questa vicenda? Come la metabolizziamo per farla rientrare in uno dei tre quattro schemi con cui banalizziamo tutto per capitalizzare sulle paure altrui?

A me non è piaciuta la vignetta di Biani, perchè mi è sembrata poco decodificabile e quindi facilmente manipolabile da chi ha il coltello dalla parte del manico (e sappiamo chi ce l’ha). Ma quell’urlo rabbioso e poco intelligente è lo specchio compresso di un mondo enorme e complicato, fatto di persone vive, ognuna di esse fatta di storie a loro volta dense e complicate, che non si può liquidare con un atteggiamento buono solo per un titolo di giornale. Bisogna approfondire e capire, cambiare e aggiustare con metodo e pazienza, senza preconcetti e senza odi di casta e di classe. E per farlo, bisogna raccontare le storie, raccontarne tante, invadere ogni pertugio (mediale e non) di storie vere di persone vere.

Trovare le parole

Sto trascurando il blog, e questo accade perchè, da tempo, ogni volta che cerco le parole per discutere qualche evento che cattura la mia attenzione distrattamente critica, accade qualcos’altro che mi costringe a ricominciare da capo il percorso. Ora, le cose sono due: o la augmented reality che cade sotto i miei augmented senses è più veloce della mia capacità di elaborazione razionale, o io sto diventando ogni giorno più stupido. Qualcuno direbbe un pazzopirla. Ma questa è un’altra storia.

Ora, mi piacerebbe provare a buttar giù alcune delle parole che ho trovato almeno per un paio delle cose accadute recentemente. In ordine cronologico inverso non datato. Perchè sennò. Tanto sono due (per ora).

Il crollo del governo
Haha. Sorpresi? Beh. Allora i pazzopirla siete voi. Viviamo in un paese politicamente disastrato, e lo sappiamo da molto molto mooooolto tempo. Che senso ha prendersela con quei quattro farabutti che per calcolo politico o idiozia stanno mandando a casa il governo? Il problema è che i quattro farabutti hanno troppo potere, e bisognava evitare che questo accadesse. Ora il paradosso è che la destra, dopo aver dato con la sua legge elettorale di merda il colpo di grazia al concetto stesso di democrazia rappresentativa, finirà col prendere la guida della crociata civile per la governabilità del paese, guadagnandone in immeritati consensi e in peso politico nella scelta del nuovo sistema elettorale. Non era meglio se lo facevamo noi? Non era meglio se, appena eletti, si diceva che così non si poteva governare, si faceva la legge elettorale, e si tornava alle urne subito? Ora che il danno è fatto e il dado è tratto, non rimane molto da fare se non assistere all’ennesimo balletto della questua dei voti ad altre fantomatiche liste per l’autonomia del cortile di casa del sor pampurio, qualche altro mese di agonia, e poi tutti a casa a votare in anticipo. Loro, perchè io stavolta sto a guardare. Ebbeh.

Il partito democratico
Hahaha. A Roma si dice: “ma n’d’annamo….”. Il graaande partito democratico, da che sembrava dovesse essere creato per pressione moltiplicatrice dal basso sulla spinta dell’entusiasmo delle primarie, è ormai diventato (o meglio, è stato fatto diventare, grazie alla pochezza endemica di contenuti dall’alto, e dall’inesistente ascolto/confronto col popolo in carne e ossa) un esercizio di stile, un preconcetto assiomatico, un progetto in provetta, forse adirittura uno sbiadito male necessario, sostenuto da pochi personaggi incolori o stanchi, contro tutto e contro tutti, soprattutto contro il buonsenso, che doveva invece essere la fonte di propulsione principale dell’idea stessa. Bisognava aspettare, e bisognava creare le condizioni per una forte unità di intenti con tutta la sinistra. Bisognava ascoltare e capire quale partito democratico vuole la gente, senza baloccarsi con statistiche e numerelli. Magari avremmo scoperto che scrollandoci di dosso Ruini, avremmo potuto assistere alla nascita di un partito più grande e brillante di quanto non potesse sembrare all’inizio.