Ho dato una scorsa veloce al PDF delle bozze del decreto Agenda Digitale Italiana, rilasciato ieri da Techeconomy, la cui lettura approfondita non è ovviamente agevole senza confronto con le leggi che si propone di emendare, e senza essere avvezzi al linguaggio. Non entrando quindi troppo nel merito, e al netto di aspettative clamorose (continuo a pensare che è meglio mezzo passo avanti che sette indietro), mi pare si profili una particolare attenzione alla sburocratizzazione per la realizzazione di opere infrastrutturali, l’introduzione di nuovi (per noi) concetti relativi alla digitalizzazione scolastico/universitaria e sanitaria, e il sostegno a progetti di ricerca di interesse nazionale. Da qui all’attuazione il passo è tutto tranne che breve, ma tant’è: meglio mezzo passo, eccetera.
Leggifuturo
C’era un tempo in cui informatici e creativi erano due mondi in guerra permanente. Parlavano due lingue diverse, mangiavano e vestivano in modo diverso, si drogavano in modo diverso. Nel corso degli anni abbiamo assistito a due fenomeni molto importanti: l’accorciamento del gap fra questi due mondi, e il tardo avvicinamento di molti “filosofi” alla rete. Inutile dire che la portata del secondo accadimento ha completamente inficiato i timidi “passi di pace” fra informatici e creativi. Oggi ci troviamo quindi ad avere a che fare con centinaia di persone che, non conoscendo alcun meccanismo di rete, hanno scelto di trasformarsi in creativi, legittimati (a sentir loro) dalla semplicistica considerazione secondo la quale “si può avere qualsiasi idea, sicuramente esisterà la maniera tecnica di realizzarla”, seguita da “non si può fare? Eh beh, evidentemente non siete capaci o non capite cosa vogliamo”.
La questione è semplice, e la spiego con una metafora. Cosa succederebbe se un tale che sa tracciare tre righe con una matita improvvisamente si mettesse in testa di diventare architetto o designer di automobili? Nulla, nel senso che non troverebbe alcun orecchio ad ascoltarlo. E allora perchè la rete è piena di persone che chiacchierano, ma non conoscono e non vogliono conoscere la differenza tra un widget, l’HTML, un foglio stile, e un webservice? Ora, vogliamo non essere troppo tranchant, e accettare l’esistenza di “filosofi della rete” che si occupano di aspetti eminentemente teorici? Ok, facciamolo. Ma possiamo oggi accettare l’esistenza di progettisti internet che non conoscono gli strumenti del lavoro, o che non si impegnano quotidianamente nello studio delle novità tecniche (e non parlo di stupidi gadget), come appunto farebbe un architetto con nuovi materiali e nuove metodiche?
Introducing il concetto di Fantasia Sostenibile: credo in persone che inventano cose che si possono fare, perchè sanno come farle. Credo in persone che spingono la loro fantasia più avanti possibile, senza mai perdere di vista la concretezza del fare e del realizzare. Credo in persone che inventano cose che funzionano. Tutti possono sognare il teletrasporto, i viaggi interstellari in giornata, la macchina magica che stira i panni o il robot che legge nel pensiero e prepara la cena che vorresti. Ma questo non fa di costoro degli scienziati.
A chi come me porta a casa la propria pagnottella quotidiana grazie ad Internet, e che magari come me ha vissuto drammaticamente il tracollo della new economy dopo l’11 settembre 2001, qualche brivido sulla schiena per il crollo delle borse mondiali e l’inaugurazione di un periodo di vera e tangibile recessione non sarà mancato. Certo, siamo lontani dalla impressionante e ridicola bolla di fine anni 90, quando c’era chi riusciva a farsi pagare 500.000 Lire al giorno per fare pagine HTML con le tabelle e Dreamweaver, o faceva margini del 600% sui progetti web. Tuttavia non è facile scrollarsi di dosso la sensazione di “costruire il superfluo”, in un momento in cui si intravedono obiettive difficoltà su aspetti molto più concreti della vita quotidiana delle persone e delle imprese. Questa riflessione, figlia legittima dei titoloni a segno meno sui quotidiani e i telegiornali nazionali, si è poi trasformata in una prima, e poi in una seconda domanda: com’è cambiata la rete dopo il crollo del 2001? E adesso invece cosa accadrà?
A distanza di sette anni, abbiamo capito che quello che oggi chiamiamo web 2.0 è in larga parte figlio della crisi del 2001. Fine dei budget multimilionari per progetti di scarso valore, fine delle supermega web agencies dirette da ricchissimi dandies simil-rockstars, nascita e sviluppo di standard aperti, piattaforme open source, e nascita di un uso attivo della rete da parte degli utenti, sono solo alcuni dei vettori che hanno portato fin qui. Non una vera rivoluzione, ma certamente un riequilibrio dei valori in campo. E all’alba di un nuovo tracollo, o comunque di un momento molto difficile, è possibile un accelerazione improvvisa verso una seconda austerity, basata sulla valorizzazione di quanto già esistente (e magari poco sfruttato) piuttosto che la spesa insostenibile di nuovi mostri da costruire from scratch. Senza quindi voler fare l’oracolo della domenica, provo a buttar giù quello che ritengo potrà essere l’atteggiamento più intelligente, in epoca di crisi, per chi si occupa di attività su Internet:
Qualità
Inutile girarci intorno: oggi esiste una consapevolezza del mezzo sufficiente per pretendere qualità percepita, riflessa, o reale che sia, ma comunque qualità. Uno spaventapasseri travestito da social network non incanta più nessuno già ora, figuriamoci l’anno prossimo.
Zero investimenti in sviluppo tradizionale
Oggi è disponibile open source tutto quello di cui si ha bisogno per sviluppare progetti per il web di buona qualità. E come i funghi nel bosco, o i pesci nel mare, il valore è in chi sa pescare, trovare, raccogliere e adattare. Vale sempre meno la pena imbarcarsi in avventure di sviluppo di architetture complesse, quando c’è un mondo intero connesso online, che seleziona, scarta, e costruisce cose che funzionano ad uso di tutti e che possono essere ricombinate con risultati interessantissimi.
Esternalizzazione verso servizi free o low-budget di tutti i costi infrastrutturali
Certo, c’è un limite a tutto, ma per attività di basso, medio traffico tutti gli host di contenuti multimediali (Blip, youtube e simili), e servizi di hosting web tradizionale che con pochi dollari forniscono storage, banda, ambienti di sviluppo, db e gestione domini vanno benissimo. Scaricate un problema, e pensate solo a inventare.
Personalizzazione sartoriale
Gli strumenti disponibili sottraggono tempo e fatica che possono essere reinvestiti nella cura dettagliata della personalizzazione. Che poi è il vero valore aggiunto.
Bassi margini
Inutile pensare di arricchirsi con la rete. Molto meglio tenere un regime di margini bassi ma costanti, che rappresentino il giusto valore del proprio lavoro al netto dei costi vivi. Tentare di fare il colpaccio, oggi come oggi, pare veramente una stupidaggine che rischia di bruciare clienti e basta.
Creatività della crisi
da che mondo è mondo, la migliore creatività viene fuori in presenza di limiti enormi. Datemi tutto quello che mi occorre, e probabilmente farò qualcosa di banalissimo. Datemi tre oggetti, e probabilmente ne trarrò un’opera d’arte. Mai come in questo momento la creatività della crisi diventa fondamentale. Massimo risultato dal minor sforzo.
Ottimizzazione
Tanto più un progetto viene curato con intelligenza, tanto meno costerà dopo. Lavorare bene sulle parti iniziali, sull’architettura delle informazioni, e sull’interaction design, vorrà dire non dover ritornare mille volte sugli stessi elementi solo perchè sono stati progettati occhi a terra e non si è stati in grado di vedere il disegno complessivo.