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Stemmings. Prenditi una pausa.

Stemmings è un blog collettivo che raccoglie saggi brevi su design e tecnologia, con un approccio narrativo lineare e slow molto raro di questi tempi. Leggendone i post, ho avuto modo di ritrovarmi in quel clima di web readings più meditato e rarefatto in uso nei primi anni del 2000 (penso ad esempio a The Fray, ma anche a molti blog della prima ora), con una particolare attenzione a grafica e tipografia, lontano dalla frenesia che molti di noi vivono su Facebook e Twitter.

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PslA 2008

Il bello del blog, sin dall’inizio, è sempre stato scrivere per se stessi e sperare che una piccola umanità imperfetta trovasse filacci delle proprie fragilità nelle proprie parole. Risonanza, si chiama. E non mi viene in mente una ragione più bella per vivere.
E anche quest’anno, come tutti gli anni dal 1875, il Sir ci delizia con il suo Post sotto l’albero, raccolta di deliri (72 quest’anno) scritti da individui che nell’era di facebook sono ancora in cerca di questa risonanza baloccandosi con un blog.
Rigorosamente in formato pdf, impaginato con Word e le sue orride clipart come da tradizione, il PslA merita il download, la stampa, e guarda un po’, persino la lettura.
Buon Natale a tutti.

L’internet della crisi

A chi come me porta a casa la propria pagnottella quotidiana grazie ad Internet, e che magari come me ha vissuto drammaticamente il tracollo della new economy dopo l’11 settembre 2001, qualche brivido sulla schiena per il crollo delle borse mondiali e l’inaugurazione di un periodo di vera e tangibile recessione non sarà mancato. Certo, siamo lontani dalla impressionante e ridicola bolla di fine anni 90, quando c’era chi riusciva a farsi pagare 500.000 Lire al giorno per fare pagine HTML con le tabelle e Dreamweaver, o faceva margini del 600% sui progetti web. Tuttavia non è facile scrollarsi di dosso la sensazione di “costruire il superfluo”, in un momento in cui si intravedono obiettive difficoltà su aspetti molto più concreti della vita quotidiana delle persone e delle imprese. Questa riflessione, figlia legittima dei titoloni a segno meno sui quotidiani e i telegiornali nazionali, si è poi trasformata in una prima, e poi in una seconda domanda: com’è cambiata la rete dopo il crollo del 2001? E adesso invece cosa accadrà?

A distanza di sette anni, abbiamo capito che quello che oggi chiamiamo web 2.0 è in larga parte figlio della crisi del 2001. Fine dei budget multimilionari per progetti di scarso valore, fine delle supermega web agencies dirette da ricchissimi dandies simil-rockstars, nascita e sviluppo di standard aperti, piattaforme open source, e nascita di un uso attivo della rete da parte degli utenti, sono solo alcuni dei vettori che hanno portato fin qui. Non una vera rivoluzione, ma certamente un riequilibrio dei valori in campo. E all’alba di un nuovo tracollo, o comunque di un momento molto difficile, è possibile un accelerazione improvvisa verso una seconda austerity, basata sulla valorizzazione di quanto già esistente (e magari poco sfruttato) piuttosto che la spesa insostenibile di nuovi mostri da costruire from scratch. Senza quindi voler fare l’oracolo della domenica, provo a buttar giù quello che ritengo potrà essere l’atteggiamento più intelligente, in epoca di crisi, per chi si occupa di attività su Internet:

Qualità
Inutile girarci intorno: oggi esiste una consapevolezza del mezzo sufficiente per pretendere qualità percepita, riflessa, o reale che sia, ma comunque qualità. Uno spaventapasseri travestito da social network non incanta più nessuno già ora, figuriamoci l’anno prossimo.

Zero investimenti in sviluppo tradizionale
Oggi è disponibile open source tutto quello di cui si ha bisogno per sviluppare progetti per il web di buona qualità. E come i funghi nel bosco, o i pesci nel mare, il valore è in chi sa pescare, trovare, raccogliere e adattare. Vale sempre meno la pena imbarcarsi in avventure di sviluppo di architetture complesse, quando c’è un mondo intero connesso online, che seleziona, scarta, e costruisce cose che funzionano ad uso di tutti e che possono essere ricombinate con risultati interessantissimi.

Esternalizzazione verso servizi free o low-budget di tutti i costi infrastrutturali
Certo, c’è un limite a tutto, ma per attività di basso, medio traffico tutti gli host di contenuti multimediali (Blip, youtube e simili), e servizi di hosting web tradizionale che con pochi dollari forniscono storage, banda, ambienti di sviluppo, db e gestione domini vanno benissimo. Scaricate un problema, e pensate solo a inventare.

Personalizzazione sartoriale
Gli strumenti disponibili sottraggono tempo e fatica che possono essere reinvestiti nella cura dettagliata della personalizzazione. Che poi è il vero valore aggiunto.

Bassi margini
Inutile pensare di arricchirsi con la rete. Molto meglio tenere un regime di margini bassi ma costanti, che rappresentino il giusto valore del proprio lavoro al netto dei costi vivi. Tentare di fare il colpaccio, oggi come oggi, pare veramente una stupidaggine che rischia di bruciare clienti e basta.

Creatività della crisi
da che mondo è mondo, la migliore creatività viene fuori in presenza di limiti enormi. Datemi tutto quello che mi occorre, e probabilmente farò qualcosa di banalissimo. Datemi tre oggetti, e probabilmente ne trarrò un’opera d’arte. Mai come in questo momento la creatività della crisi diventa fondamentale. Massimo risultato dal minor sforzo.

Ottimizzazione
Tanto più un progetto viene curato con intelligenza, tanto meno costerà dopo. Lavorare bene sulle parti iniziali, sull’architettura delle informazioni, e sull’interaction design, vorrà dire non dover ritornare mille volte sugli stessi elementi solo perchè sono stati progettati occhi a terra e non si è stati in grado di vedere il disegno complessivo.

Temi caldi 3 / Blogosfera: Pillola blu o pillola viola?

Nel 2003, indispettito per la scarsa attenzione nei confronti di blogout, e in coda alla constatazione di una già evidente glamourizzazione del blogging, scrissi un post piuttosto acido. Qualche giorno dopo arrivò una lucida risposta di Mantellini, che, prendendo a prestito le tesi di World of Ends di Searls e Weinberger, scriveva:

“Continuiamo ad applicare le solite categorie di una comunicazione che discende da un centro e scivola verso gli ascoltatori mentre oggi la struttura e’ molto cambiata e scrivere un blog su Virgilio e’ ormai semplicemente una tautologia”

Con i miei tempi assorbii quella risposta e la feci mia, rimanendo comunque un po’ defilato dalla parte più modaiola e glitter della blogosfera, un po’ per distanza (il centro è sempre stato Milano), un po’ per convinzione, un po’ per timidezza.

Nel frattempo ho continuato a riflettere sul blogging italico, scribacchiando altre cose (1, 2 e 3) il cui tema più o meno è sempre stato il tentare di capire se non ci fosse effettivamente un problema di piramidalizzazione nella blogosfera, provocato da un approccio intrinsecamente e inevitabilmente italiano al mezzo.

Tutto questo non per fare un’apologia del mio pensiero, ma più che altro per dire che non si può, davvero non si può più fare di tutt’erba un fascio, e mescolare questioni diversissime fra loro in una visione tutta monodimensionale come quella fatta da Novecento o, peggio, da Marco Mazzei. Non dopo 5 o 6 anni di discussioni estenuanti e – quelle si – assolutamente autoreferenziali, sull’involucro della blogosfera.

Più di tre anni fa, quando mi chiedevo:

Cosa succederebbe se all’improvviso un virus impazzito rimescolasse tutti i titoli e tutti i domini dei milioni di blog esistenti in rete? La popolarità dei soli contenuti del dopo virus sarebbe coerente con la popolarità dei contenitori che li ospitavano prima?

non avevo ancora esperito vicende come quella di Sergio Sarnari e il mobilificio o BlackCat e la Carrefour, tanto per dire, dimostrazione evidente che ora, grazie anche a strumenti nuovi come twitter e friendfeed, le idee circolano molto più rapidamente e fluidamente.

A questo punto, se c’è ancora qualcuno che pensa che invitare trenta blogger (di cui io non faccio parte, tanto per dire) a parlare con Bernabè è una cosa che può avere un senso, va bene, chissenefrega. Lo facciano. Qual’è il vostro problema? Che pensate non serva? O che volevate esserci voi? Perchè se parliamo del primo caso, allora usate il vostro blog per proporre qualcosa di costruttivo, su possibili ipotesi di confronto fra aziende e blogger. Io ad esempio credo che sarebbe interessante ogni volta lanciare grandi sondaggi per scegliere venti persone per andare a discutere con Bernabè o Scott Jovane, ma è solo un’idea.

Ma su una cosa, invece, sono d’accordo. Il badge viola della blogfest (che io avevo ma solo in quanto parte dell’organizzazione di un barcamp) serve solo a scatenare stupide invidie. Io non mi sono sentito figo a poter entrare al Tiffany, sinceramente. Evitando questo genere di cose, forse non si darebbe neanche il là a discussioni noiose e trite, e si marcherebbe una differenza reale fra un sesto potere veramente orizzontale, ed altri mondi di nani e ballerine.

Rimane il fatto che la Blogfest (come altre situazioni) era aperta, si è passato il 95% del tempo tutti insieme al centro congressi, o divisi e mescolati nei vari ristoranti di Riva, e nessuno andava in giro con la scorta o con lo scettro. La casta è negli occhi di chi la vede, semmai ci sono meccanismi rete-mondo reale da modificare. Meglio allora fare proposte concrete per capire come massimizzare l’energia della conversazione globale.

Giornalista 23enne ucciso a Baghdad

Ali Shafeya Al-Moussawi, videoblogger del popolare Alive in Baghdad, è stato ucciso venerdi dalla guardia nazionale iraqena durante un raid nel suo quartiere, con 31 colpi al collo e alla testa. Avrebbe compiuto 23 anni ieri. Alive in Baghdad, nelle parole di Josh Wolf su CNET:

Alive in Baghdad is one of the only destinations providing weekly video of life in Baghdad from an Iraqi perspective. The reporting examines current issues facing the country, and also features evergreen material documenting what life in a war-torn country looks like. The program has been profiled in numerous media reports, has garnered numerous awards, and has grown a loyal following.

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Il tuo blog come carta d’identità

Un’interessante post di Anna Zelenka su GigaOM discute la possibilità che il proprio blog basato su un’installazione di WordPress (e aggiungerei, qualunque altra presenza strutturata personale in rete) possa diventare un nodo di quel social networking distribuito di cui tanto si discute in questo periodo (vedi The Social Graph problem di Brad Fitzpatrick), citando gli esperimenti di Steve Ivy (vedi DiSo) per esporre la propria contact list verso altre community.

In sostanza, perchè registrarsi in duecentomila social network e ogni volta riaggiungere i propri amici? (citando Brian Clark, “è come ristrutturare la cucina di una casa in affitto”). Beh, la risposta (shortsighted) è semplice: ogni social network tira acqua al suo mulino. Ma in effetti, cosa succederebbe se io potessi partire dalla mia identità online rappresentata per (buon) esempio da un blog, e potessi associare la mia identità (open ID, amici, ecc) a vari social network? Succederebbe che l’attività di social networking sarebbe in generale più elevata, e che il focus di ognuno di essi sarebbe il contenuto e il plusvalore offerto. Il numero di utenti “associati” conta quanto il numero di utenti “registrati”, quindi il tema della patrimonializzazione del proprio asset è salva; inoltre, la social network portability risolverebbe la barriera d’ingresso della registrazione e dell’avvio della propria attività in ogni nuovo luogo virtuale.

Certo, è possibile che un approccio di questo tipo finisca col privilegiare le community fortemente tematizzate (come Last.fm) a danno di quelle più generaliste (Myspace, Facebook), ma mi pare difficile riuscire a contrastare un fenomeno che da’ la sensazione seria di voler prendere piede e di diventare quello che già si chiama web 3.0.

Ricominciare a bloggare

E’ sempre difficile ricominciare a scrivere sul proprio blog dopo mesi e mesi d’assenza. Quindi riparto da un post neutro, segnalando semplicemente a chi passa da queste parti (o chi annovera ancora il mio feed fra gli “aggregati”), che adesso ricomincio a bloggare. E non è una minaccia 🙂

Il blog lo fate voi. Ma anche no.

Leggo con curiosità la frase del pezzo di Carlini in edicola sul Manifesto di domani, citata da diversi blog in queste ore:

Sulle forme della democrazia e ancor più sull’illusione del voto in rete su ogni possibile decisione, la discussione è finita da tempo, dopo le ventate tecno-utopiche dei primi anni ‘90 e chi frequenti l’insieme dei blog, specialmente quelli italiani, potrà avere conferma di quanto poco discorsiva, colloquiale e spesso vuota sia la suddetta blogosfera. Noterà come molti autori siano monomaniacali, autoreferenziali e autocitantesi, sovente pronti all’insulto, approssimativi nei giudizi. Persino alcuni tra i migliori giornalisti, da anni nel mestiere e nella rete, quando bloggano, si sentono in dovere di sfoderare fastidiosi toni colloquiali in prima persona, tipo «ho pensato che», «mi arriva una telefonata da ». Ma fai il tuo mestiere, viene da dire: dammi le notizie e il loro contesto, ché delle tue telefonate mi importa assai.

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Mah si, boh.

(disclaimer on): Io non sono nessuno per giudicare ciò che scrive Carlini, ci mancherebbe. (/disclaimer off) Ho però la sensazione che faccia un po’ di tutt’erba un fascio, una brutta abitudine già nota (in generale non mi riferisco a Carlini), data magari dalla casualità di essersi imbattuti in due o tre cose un po’ tronfiette (giacchè ce n’è, ed è innegabile) qua e là per i blog, che conduce purtroppo all’irrefrenabile bisogno di essere un po’ tranchant.

A parer mio, è possibile che il giornalista noto possa anche approfittare del blog per trasformarsi in autoproclamato opinion leader e comportarsi come tale. E’ possibile che alcuni pontifichino o stronzeggino in modo forse davvero esagerato. Però alla fine la realtà è che questa piccola massa di persone che in comune hanno solo il formato in cui scrivono, contribuisce tutta a dare vita ad una informe ma significativa (per strumenti di là da venire) massa di umori, tanto più sensata quanto più diretta, sgrammaticata e immediata.

Basta col parlare di blog, eddai. Fatelo, il blog. Come vi pare. Ma fatelo voi.