Ho un debole da sempre per i film che raccontano spaccati dell’Italia della contestazione, dal 68 in poi. Sono andato quindi con spirito tutt’altro che prevenuto, a vedere Il grande sogno, film di Michele Placido ambientato in quegli anni (dal ’67 al ’69), ma sono uscito dal cinema tutt’altro che soddisfatto. Non m’è piaciuto, anzi, penso proprio che sia un film riuscito male, vittima di una serie di errori che lo rendono poco coinvolgente, eccetto alcuni momenti strappacore che commuoverebbero un morto, figuriamoci un comunista.
Il peccato originale del film è la malriuscita alchimia fra dramma borghese privato e racconto storico. Nelle intenzioni, Placido voleva evitare l’affresco per concentrare il racconto sulla vicenda della famiglia di Laura (Jasmine Trinca) e Andrea (Marco Iermanò); in realtà la suddivisione dei piani non è armonica, e la sceneggiatura è fortemente bidimensionale. Il risultato è un piattume generale senza profondita, con mille elementi abbozzati senza sviluppo – in qualche caso anche ridicoli, come lo spunto che porterà Andrea alla decisione di partecipare ad un attentato, un pretestuoso dialogo di appena due minuti. La mancanza di alcuni passaggi logici, la frettolosità con cui vengono trattati diversi elementi anche importanti, e l’autocompiacimento manierista di alcune scene di rievocazione storica, completano il quadretto di un prodotto cinematografico incompleto, superficiale e poco “governato”. Peccato, perchè gli attori sono bravi (Jasmine Trinca in particolare), il soggetto è buono, e Placido dietro alla macchina da presa ha fatto cose egregie.