In tempi di calciomondiale, anche il nostro baffuto Ministro degli Esteri si trova impegnato in una bella partita, peraltro su più di un fronte (mi si perdoni l’allusione involontaria). Gli statunitensi ricordano all’Italia l’impegno a supportare militarmente i provincial reconstruction team, e per la prima volta in anni e anni il nostro governo è in grado di pronunciare la sillaba NO con la sacrosanta fermezza di un paese sovrano in grado di decidere da solo di non mandare a morire ammazzati i propri giovani. Intanto però, nella multicolore casa allegra della coalizione di maggioranza, il nutrito gruppetto della sinistra radicale approfitta della situazione per mettere in discussione apertamente, e senza troppi giri di parole, la presenza militare in Afghanistan (oltre che l’esercito tutto, frecce tricolori incluse).

Ora. Chiedere conto del senso della nostra presenza in Afghanistan è del tutto lecito; tuttavia mi chiedo: nel momento in cui, per la prima volta dopo un numero di anni imbarazzante, un Ministro degli Esteri dotato di riconosciuto carisma e doti politiche si alza in piedi e dice NO a quella stessa amministrazione statunitense che ha trascinato il pianeta nel disastro diplomatico globale che è sotto i nostri occhi, è davvero utile a qualcuno/qualcosa minarne la credibilità attaccandolo a morsetti sugli stinchi con la pretesa di ritirare immediatamente le truppe italiane dovunque siano, smantellare esercito e frecce tricolori, e girare tutti nudi e tutti ‘mbriachi con i fiori in bocca e ‘na canna in mano?
Chiaro, appare sensato e interessante immaginare una lenta e revisione del ruolo strategico e sociale del nostro esercito (nei confini e fuori), anzi. Credo però che il realismo della politica richieda almeno tempi medio-lunghi, un po’ di intelligenza tattica e un pizzico di opportunismo e cinismo.

Lasciamo che gli americani imparino che ora c’è qualcuno che dice NO, e che è nel pieno diritto di farlo. Lasciamogli digerire ben bene questo fatto. Al resto ci penseremo dopo. Con calma e con pazienza.