Ho cominciato a lavorare e versare contributi nel 1992. Tra alti e bassi e varie configurazioni (partita IVA, contratti a progetto, emolumenti da amministratore delegato, e INPS + ENPALS), nel 2012 avrò lavorato per vent’anni. Tra i nati negli anni intorno al ’69, il mio anno di nascita, mi considero fortunato per due ragioni: la prima è che ho cominciato a lavorare piuttosto presto rispetto alla media; la seconda è che ho seguito molto da vicino l’innovazione tecnologica (strumenti e processi), perchè è sempre stata parte integrante della mia attività professionale.

Perché la seconda ragione è importante?

Ieri è stata varata la manovra di salvataggio del paese da parte del governo di emergenza presieduto da Mario Monti, e tra le misure, forse la più importante é l’aumento dell’età pensionabile; sacrosanto, dicono in molti, perchè l’aumento dell’aspettativa di vita e del benessere generale ci chiede di contribuire più di prima al prodotto interno lordo e di gravare meno sul bilancio statale. Se esaminiamo il dato meramente biologico possiamo anche essere d’accordo, ma se guardiamo la realtà delle aziende di oggi, e se ne immaginiamo una ipotetica proiezione a vent’anni, vediamo un popolo numeroso di 60 / 65enni assolutamente spaesati di fronte alle innovazioni tecnologiche che permeano a tutti i livelli il quotidiano di un’impresa di medio/grandi dimensioni. Persino chi come me è cresciuto dentro computer e rete, non può non chiedersi “ma come sarà fra 15 o 20 anni?”, sapendo che la crescita è esponenziale, che negli ultimi dieci anni sono successe cose che nei dieci precedenti erano inimmaginabili, ma sopratutto – ed è qui il punto – non tutta l’innovazione è andata nella direzione di una migliore esperienza utente , anzi. Il “poter fare di più, più in fretta e a costi più bassi” é frequentemente, andato a discapito della capacità dell’utente non più giovanissimo di star dietro al cambiamento, con risultati che chiunque abbia fatto un po’ di consulenza o training in azienda conosce perfettamente.

Sicuramente la soluzione a questo problema non è gettare nel dimenticatoio statale-assistito gli over 60, nè costringerli a faticose rincorse all’ultimo social media di grido, al nuovo tablet connesso alla cloud aziendale, o all’holodeck che verrà. È invece necessario che le aziende facciano uno sforzo per comprendere l’esistenza di un problema, capire che devono fare investimenti per chiudere il gap fra esperienza e aggiornamento, creando una domanda industriale di processi e interfacce a misura di utente “lento”, e a basso impatto cognitivo. In questo modo si riuscirà a valorizzare competenza ed esperienza, evitando di creare nuove generazioni di quasi-sessantenni abbandonati dalle aziende ma troppo giovani per essere assistiti dallo Stato.