Prendo spunto dal breve pezzo di oggi di Gaspart, che rilancia un lungo, bellissimo post di Gilgamesh sulla vicenda del Myanmar. Il tema è semplice, quanto antico: le tragedie, specie quelle lontane dall’occidente, vengono lasciate indietro e dimenticate. Ma c’è un elemento forse nuovo in questa storia che nuova non è, su cui forse vale la pena di fare una riflessione in più: oggi abbiamo sia gli strumenti per evitare che ciò accada, sia per constatare che, in effetti, NON accade.

Proviamo a fare un giro su Summize (ore 12.45 del 30/5/2008) usando il tag Myanmar: notiamo che c’è in media un messaggio e/o un blog post ogni dieci minuti su questo tema, nelle più varie declinazioni possibili (articoli di newspaper online, veloci considerazioni, rimandi a post di blog, ecc). Per capirci, nelle ultime due ore ci sono almeno 15 items online che parlano di Myanmar, e a ben vedere non sono (o almeno non sono soltanto) blogger birmani, ma anche NYT online e MSNBC. Il problema reale allora qual’è? Che NON se ne parla, o piuttosto che NON lo sappiamo?

Ci sono due fenomeni che si incrociano: da una parte sappiamo che qualunque argomento al mondo gode di una produzione di contenuto e di un suo pubblico (la solita coda lunga, per capirci), dall’altra il fenomeno del “digging globale” fa sì che non soltanto determinati contenuti emergano a discapito di altri (la “testa”), ma che molto più rapidamente determinati temi non caratterizzati da eventi di risonanza, finiscano in fondo al rullo molto velocemente, dandoci la sensazione della dissolvenza nel nulla. Insomma, molte più persone parlano di molti più argomenti, che però vengono bruciati molto più rapidamente.

Per fortuna accade che qualcuno scrive un bel post su quell’argomento, qualcun’altro lo rilancia affinchè anche io possa leggerlo, e io magari, come ho fatto, posto un link a Summize che propone altri approfondimenti sul tema. E così via.

Bello no?

(ne parla anche Squonk)