Da molti anni, a memoria da una decina o quasi, si discute del conflitto tra blogger e giornalisti. In qualche caso si è archiviato il tema con (intelligente) ironia, in qualche caso sono state fatte riflessioni profonde, ma se la vicenda delle affermazioni dell’Annunziata sui blog (dell’Huffington in particolare) ha riacceso gli animi vuol dire che il tema continua ancora ad essere irrisolto. Forse proprio perchè ancora una volta mal posto. Per questa ragione, ho trovato molto intelligenti le considerazioni di Luca, che scrive:
Essere blogger è il livello minimo di appartenenza al mondo digitale partecipativo, equivale allo spettatore per la TV.
È un ruolo attivo ma questo non cambia la sua posizione nel panorama: non è un mestiere (non più, per l’amor di Dio), è una condizione abilitante.
Non esiste il mestiere di blogger, esistono persone che scrivono un blog: professionisti, giornalisti, politici, studenti, attivisti.
Così come non è un mestiere essere un cittadino ma un condizione nelle nostre vite.
Essere blogger, in senso ampio e non solo su web, è sempre più essere cittadino digitale.
Altro discorso è il lavoro retribuito dei giornalisti, che dovrebbe essere duro e rigoroso.
Per Arianna l’Huffington Post è una piattaforma di visibilità per chi scrive un blog che crea coinvolgimento, cioè una vera community.(…)
Se non si capisce questo approccio è difficile poi discutere nel merito di contenuti e prospettive senza scontrarsi ideologicamente.
Ed è proprio la questione di merito, che rischia di essere offuscata dalla riproposizione di un dibattito sterile. Diradando la nebbia ideologica, non è difficile scorgere i tanti giovani che vengono pagati quattro soldi per riempire di contenuto di pessima qualità siti e “portali” (sic) italiani. Ecco, io parlerei di questo.