Ho letto con curiosità e interesse la vicenda di Simone Brunozzi, 31enne programmatore italiano assunto da Amazon come evangelist per AWS Europe. E generalmente, ciò che leggo con curiosità e interesse si sedimenta, fermenta, e mette in moto sensazioni che prendono forma e carattere dopo qualche giorno.
La storia di Simone è semplice nella sua cinematografica complessità: ha scoperto l’esistenza di una posizione professionale che l’avrebbe finalmente potuto gratificare, si è reso conto di avere i numeri giusti per giocarsela, ha fatto tutto quello che (lecitamente) poteva per ottenere l’assunzione, e alla fine l’ha ottenuta. Ad una prima, superficiale lettura potrebbe sembrare la storia di un qualunque ragazzo rampante ed arrivista che cerca di perseguire un obiettivo di carriera
Ma a ben leggere, è proprio la complessità di questa storia che cela fra le righe ciò che veramente le dà un senso diverso.
Simone è un ragazzo capace ed evidentemente sicuro delle sue potenzialità, e non necessariamente di potenzialità specifiche. E’ infatti un ragazzo dalle competenze trasversali, sveglio, volitivo e curioso, che ha saputo “capire” che l’occasione era adatta per spendere l’insieme dei suoi skills e attitudini, e che ha pensato, progettato, realizzato e spedito un bel pezzo di software che riteneva essere la prova (in)tangibile e inconfutabile di ciò.
Fotografiamo questo concetto, e guardiamoci intorno: quante persone conosciamo in grado di raccontarci una storia analoga a questa? Io pochissime. Mentre invece ne conosco molte che hanno ottenuto alte posizioni di privilegio in questo paese grazie a colpi bassi, puro self-marketing, o nepotismi vari. Ecco ciò che rende la storia di Simone diversa, se non unica: da noi esiste una correlazione circolare viziosa fra il livello reale di competenza richiesto (e misurabile) dalle aziende, e l’attitudine culturale di chi cerca il lavoro. Gli italiani imparano da quel che vedono nelle aziende che se hai sufficiente faccia come il culo o parenti importanti puoi perseguire posizioni di prestigio/privilegio, se hai meno f-c-c o parenti meno importanti, ti puoi accontentare di un posto sicuro. Questi italiani finiscono poi nelle aziende, e a loro volta selezionano altri sulla base degli stessi criteri.
Insomma, anche ipotizzando l’esistenza in Italia di una posizione simile a quella proposta da Amazon, se Simone avesse tentato qui lo stesso percorso, cosa avrebbe ottenuto? Noi italiani reiteriamo all’infinito questo mix di fatalismo e pigrizia, le aziende continuano ad essere gestite da manager poco competenti e molto presuntuosi, e così via. E non se ne esce.
Simone Brunozzi
Maggio 23, 2008 — 7:15 pm
Ciao!
Grazie per le belle parole… speriamo che in Italia le cose migliorino!
Best,
Chicco
Maggio 27, 2008 — 2:30 pm
Se quella posizione fosse stata aperta in Italia, non sono affatto sicuro che l’ottimo Simone averebbe ottenuto quel posto.
Al tempo stesso, non sono sicuro che si possa sempre dimostrare, sia pure con prodotti (in)tangibili le proprie comeptenze; molte attivita’, oggi, sono “intangibili” nel vero senso della parola.
Potrei continuare a lungo, ma mi sento di concludere con qualcosa di molto semplice ed al tempo stesso molto profondo (almeno per me che ci credo) e cioe’: “nulla succede per caso”.
Un caro saluto a tutti e speriamo che le cose inizino a cambiare sul serio anche qui da noi.
ChiccO:-)
LivePaola
Maggio 28, 2008 — 1:07 pm
Oggi pomeriggio presentazione libro “Meritocrazia” di Roger Abravanel, già tutto esaurito, vedremo come va:
http://alumni.sdabocconi.it/classes/what_s_hot/may_2008/book_presentation_roger_abravanel.htm