Le cospirazioni mi intrigano, ma la ricostruzione che fa la Repubblica del patto segreto tra tifoserie organizzate di Roma e Lazio per il controllo dello stadio mi pare veramente fantascienza. Non vedo una capacità di controllo a questo livello, propendo piuttosto per l’ipotesi dell’escalation, del bisogno istintivo e tribale di cercare lo scontro per sfogare immense frustrazioni, per cui uno stimolo qualsiasi (vero o falso che sia) è preso per buono, e passando di voce in voce diventa un mostro.

Allo stadio però le cose sono cambiate, e tanto, e questo è innegabile.

Sono un tifoso della Roma da quando ho memoria del mondo; mio nonno era una colonna del Roma Club di Testaccio, e pur non essendo mai stato un accanito frequentatore di stadi (sono in effetti stato pochissime volte all’Olimpico), avevo moltissimi amici dei CUCS, ragazzi appassionati e pieni di vita che negli anni ’80 celebravano il rito della partita dando voce ad un’intera città. Non era tutto rose e fiori (vedi vicenda Paparelli, per fare un solo esempio ma molto significativo), ma il clima era molto diverso.

A questo proposito, voglio citare per intero un bellissimo post di Zoro, che ho intercettato oggi su it.sport.calcio.roma poco dopo aver letto l’articolo su Repubblica.

L’anno scorso è stato il mio ultimo anno di Curva Sud.Mi sono preso l’alibi della nascita di mia figlia per rassegnarmi a Sky e vedermi le partite sul divano di casa, telecomando in mano, comodo comodo, tifoso pantofolaro, con 400 telecamere puntate nel buco del culo dei giocatori e la puzza dei fumogeni o dei lacrimogeni lontana lontana.E’ una cosa che sarebbe comunque successa, a prescindere da una paternità che ha solo accelerato un esito tristemente scontato. […]Negli ultimi anni per vedere Totti dal vivo sono stato gomito a gomito con effigi del Duce, saluti a mano tesa, celtiche e compagnia cantante faccetta nera. Non è stata una cosa piacevole.Immalinconito, con la sciarpa di lana grossa cucita da mia madre 20 anni fa, circondato da cori, merchandising e simboli che non mi appartengono, decisi che avrei comunque lasciato la Curva, a prescindere da mia figlia.E sì che l’ho immaginato un sacco di volte il giorno in cui sarei entrato in Curva da papà e non da figlio, il giorno in cui avrei dato un seguito alle volte in cui mio padre mi faceva infilare in mezzo ai CUCS, tra facce spettacolarmente trucide che dicevano “è arivata a mascotte” e picchiando sui tamburi mi facevano vedere la partita con loro, bambino contento tra i tifosi più carismatici.Ma quella Curva che da piccolo vivevo come una seconda casa oggi non c’è più.Prima di ieri contavo di portare presto mia figlia allo stadio, in qualche maniera, quanto prima.Ma non è cosa, non ancora, sicuramente mai in curva.Ed è un peccato.Ci si sarebbe divertita, come mi divertivo io.