Vitedigitali

Qualcosa da dire o nulla da fare (sono stanco)

Così parla dei blog oggi Beppe Severgnini su RMC (via Gigicogo). E non che me ne freghi molto di commentare questa affermazione, ma improvvisamente mi ha fatto tornare la voglia di scrivere sul mio, di blog, abbandonato a se stesso da più di due mesi. Neanche il 2009 ho ancora inaugurato, per dire. I perchè sono tanti, per lo più irrilevanti al grosso di chi saltella per caso o per dolo su queste pagine. O forse no, forse semplicemente a volte le cose che ci circondano prendono il sopravvento, non solo sul nostro spaziotempo, ma anche nella nostra mente, dove a spazi più ampi corrisponde una maggiore fragilità.

Ma non è di questo che voglio parlare. Ho invece ripreso il blog per dire che sono stanco. Sono stanco della continua demistificazione di tutto. Ormai, in rete e non solo, la gara a chi è più cinico è diventata insostenibile. Tutto viene smerdato alla velocità della luce. Tutto chiama uno schieramento continuo. Ogni cosa ha subito il suo rovescio della medaglia, e immediatamente scatta la polarizzazione. Il superSI o il superNO. Parlo della politica, ma anche dei Mac, o dell’ultimo film di non-so-chi. Tutto si sta radicalizzando, ma è solo apparenza. E’ onanismo. A parole siamo tutti assassini, e se mi prendo un attimo per riflettere, sparisco nell’oblìo, travolto dalla dissennata velocità del rilancio continuo, come in crudele gioco d’azzardo senza tregua.

Ecco, rallentiamo, per dio. Lasciamo respirare le cose.

(scritto di getto e non riletto, ma senza fretta)

UGC no, ma IDC forse si

Giovanni Calia produce una interessantissima analisi sullo User Generated Content, nella quale si dimostra che il contenuto bottom-up non è voluminoso e non è in grado di sostenersi da solo, mentre molto più ricco invece lo scambio di relazioni umane dimostrato dal volume di scambio su Facebook.
Condivido appieno l’analisi, ma provo a spingerla un passo più avanti.

Dice Giovanni, sulla scarsa monetizzazione dell’UGC: “La blogosfera italiana ne è un esempio lampante. A parte pochi rari casi, è un rincorrersi a vicenda”. Il caso italiano non può essere preso ad esempio: l’audience di lingua italiana è numericamente irrisoria e non giustifica code lunghe di alcun tipo, ed è quindi evidente che nel corso del tempo la produzione di contenuto si è stabilizzata (e non poteva che essere così) su una forma amatoriale, o funzionale ad obiettivi di visibilità nel settore social media. Qui c’è già un primo punto: in realtà ci sono diversi blogger o produttori indipendenti di contenuti in lingua inglese, che vivono onestamente producendo contenuti di varia natura. La vera domanda è: possiamo chiamare UGC questo contenuto? La risposta secondo me è NO. Questo contenuto, tanto per giocare con gli acronimi, preferisco chiamarlo IDC (independent disintermediated content)

L’IDC è contenuto di qualità, prodotto da individui competenti ed indipendenti, che saltano tutti i passi della catena produttiva e molti di quella distributiva, che conoscono le dinamiche dei media sociali, e che sanno monetizzare la propria produzione per ricavarne un income ragionevole, o comunque corrispondente al costo della produzione più un adeguato margine.

L’IDC non solo non è morto, ma gode di salute crescente per almeno un paio ragioni:

  • Ha un valore. Nonostante la democratizzazione dei mezzi di produzione di contenuto, i produttori di IDC sono pochi, e la qualità è generalmente medio alta. E’ vero che ancora si tratta di contenuti legati alla rete, e quindi piuttosto autoreferenziali, ma le cose stanno cominciando a cambiare e cambieranno rapidamente.
  • l’IDC è adatto sia a media mainstream e a social media, con livelli di disintermediazione diversi. Questo comporta una elevata monetizzabilità e un interessante bacino per gli editori mainstream, che possono far affidamento su qualità, continuità e professionalità a costi competitivi.
  • la sua natività sociale/digitale lo pone più avanti di contenuti i cui producer inseguono la rete. Questo è un vantaggio competitivo stabile, che può rafforzarsi col tempo. E’ molto più facile cambiare crafting e strategie distributive per un produttore di IDC, che per chi deve smuovere ogni volta una portaerei editoriale.

A suivre.

Mutazioni Digitali, live

Oggi pomeriggio alle 18.30 dalla FNAC di Roma andrà in onda su Cannocchiale TV in diretta (e immediatamente dopo ondemand) la prima puntata di Mutazioni Digitali.

Nato come un evento pensato, voluto e organizzato da Marco Traferri e Antonio Pavolini, Mutazioni Digitali è stato trasformato in un format tv coprodotto con Cannocchiale TV. Si tratterà fondamentalmente di un esperimento: cercare di uscire un po’ dalla logica del convegno barboso, e rendere l’evento fruibile in diretta e on demand con attenzione alla qualità senza investimenti colossali. Faremo sicuramente qualche errore, la formula si raffinerà nel tempo, ma l’idea c’è, e con essa anche la giusta passione per realizzarla.

Se ne avete voglia, veniteci a trovare alla FNAC del centro commerciale di Porta di Roma, oppure seguiteci live sul canale Mutazioni Digitali di Cannocchiale TV dalle 18.30.

Fantasia Sostenibile

C’era un tempo in cui informatici e creativi erano due mondi in guerra permanente. Parlavano due lingue diverse, mangiavano e vestivano in modo diverso, si drogavano in modo diverso. Nel corso degli anni abbiamo assistito a due fenomeni molto importanti: l’accorciamento del gap fra questi due mondi, e il tardo avvicinamento di molti “filosofi” alla rete. Inutile dire che la portata del secondo accadimento ha completamente inficiato i timidi “passi di pace” fra informatici e creativi. Oggi ci troviamo quindi ad avere a che fare con centinaia di persone che, non conoscendo alcun meccanismo di rete, hanno scelto di trasformarsi in creativi, legittimati (a sentir loro) dalla semplicistica considerazione secondo la quale “si può avere qualsiasi idea, sicuramente esisterà la maniera tecnica di realizzarla”, seguita da “non si può fare? Eh beh, evidentemente non siete capaci o non capite cosa vogliamo”.

La questione è semplice, e la spiego con una metafora. Cosa succederebbe se un tale che sa tracciare tre righe con una matita improvvisamente si mettesse in testa di diventare architetto o designer di automobili? Nulla, nel senso che non troverebbe alcun orecchio ad ascoltarlo. E allora perchè la rete è piena di persone che chiacchierano, ma non conoscono e non vogliono conoscere la differenza tra un widget, l’HTML, un foglio stile, e un webservice? Ora, vogliamo non essere troppo tranchant, e accettare l’esistenza di “filosofi della rete” che si occupano di aspetti eminentemente teorici? Ok, facciamolo. Ma possiamo oggi accettare l’esistenza di progettisti internet che non conoscono gli strumenti del lavoro, o che non si impegnano quotidianamente nello studio delle novità tecniche (e non parlo di stupidi gadget), come appunto farebbe un architetto con nuovi materiali e nuove metodiche?

Introducing il concetto di Fantasia Sostenibile: credo in persone che inventano cose che si possono fare, perchè sanno come farle. Credo in persone che spingono la loro fantasia più avanti possibile, senza mai perdere di vista la concretezza del fare e del realizzare. Credo in persone che inventano cose che funzionano. Tutti possono sognare il teletrasporto, i viaggi interstellari in giornata, la macchina magica che stira i panni o il robot che legge nel pensiero e prepara la cena che vorresti. Ma questo non fa di costoro degli scienziati.

12 righe su Urbino

Mi sono divertito come un bambino alle elementari.
Fare colazione in piazza con gli amici, sotto al sole, è una delle poche vere gioie della vita.
Daniaè una persona interessantissima e sorprendente.
Paola ha uno sguardo che ti confonde.
Quel simpaticone di Mario mi ha salvato la vita.
De Carlo ha ammazzato Urbino.
Abbiamo fatto dei video molto carini. Lisa bravissima, ma anche il lavoro di Piero è stato impagabile.
Fabio, Luca e gli altri ragazzi dell’Università sono bravi, motivati e simpatici.
Se facciamo ubriacare lapaoly la sentiremo dire a voce le genialate che scrive (per non parlare delle foto)?
Le ragazze GGD sono vulcaniche.
Viva i Bolsi.
Queste cose fanno male. Perchè poi si ricomincia come sempre.

L’internet della crisi (reloaded)

Il mio post sulla crisi di Internet è nato il giorno prima del post di Zambardino, che ha scatenato una ridda di commenti qui a Urbino (dove mi trovo al momento) a partire dall’intervento di Tombolini al barcamp anticipato da questo suo post.

Nonostante la mia riflessione fosse molto meno allarmata e molto più pratica, in quanto sostanzialmente orientata ad un necessario cambio di mentalità rispetto alla progettazione su web, la considero comunque un contributo al dibattito che si è scatenato, ed aggiungo due umili parole: attenzione a non fare lo stesso errore degli investitori di borsa. Da queste parti (e chi c’è passato 7 anni fa lo sa) il panico brucia tutto in poche settimane.

Calma, please.

L’internet della crisi

A chi come me porta a casa la propria pagnottella quotidiana grazie ad Internet, e che magari come me ha vissuto drammaticamente il tracollo della new economy dopo l’11 settembre 2001, qualche brivido sulla schiena per il crollo delle borse mondiali e l’inaugurazione di un periodo di vera e tangibile recessione non sarà mancato. Certo, siamo lontani dalla impressionante e ridicola bolla di fine anni 90, quando c’era chi riusciva a farsi pagare 500.000 Lire al giorno per fare pagine HTML con le tabelle e Dreamweaver, o faceva margini del 600% sui progetti web. Tuttavia non è facile scrollarsi di dosso la sensazione di “costruire il superfluo”, in un momento in cui si intravedono obiettive difficoltà su aspetti molto più concreti della vita quotidiana delle persone e delle imprese. Questa riflessione, figlia legittima dei titoloni a segno meno sui quotidiani e i telegiornali nazionali, si è poi trasformata in una prima, e poi in una seconda domanda: com’è cambiata la rete dopo il crollo del 2001? E adesso invece cosa accadrà?

A distanza di sette anni, abbiamo capito che quello che oggi chiamiamo web 2.0 è in larga parte figlio della crisi del 2001. Fine dei budget multimilionari per progetti di scarso valore, fine delle supermega web agencies dirette da ricchissimi dandies simil-rockstars, nascita e sviluppo di standard aperti, piattaforme open source, e nascita di un uso attivo della rete da parte degli utenti, sono solo alcuni dei vettori che hanno portato fin qui. Non una vera rivoluzione, ma certamente un riequilibrio dei valori in campo. E all’alba di un nuovo tracollo, o comunque di un momento molto difficile, è possibile un accelerazione improvvisa verso una seconda austerity, basata sulla valorizzazione di quanto già esistente (e magari poco sfruttato) piuttosto che la spesa insostenibile di nuovi mostri da costruire from scratch. Senza quindi voler fare l’oracolo della domenica, provo a buttar giù quello che ritengo potrà essere l’atteggiamento più intelligente, in epoca di crisi, per chi si occupa di attività su Internet:

Qualità
Inutile girarci intorno: oggi esiste una consapevolezza del mezzo sufficiente per pretendere qualità percepita, riflessa, o reale che sia, ma comunque qualità. Uno spaventapasseri travestito da social network non incanta più nessuno già ora, figuriamoci l’anno prossimo.

Zero investimenti in sviluppo tradizionale
Oggi è disponibile open source tutto quello di cui si ha bisogno per sviluppare progetti per il web di buona qualità. E come i funghi nel bosco, o i pesci nel mare, il valore è in chi sa pescare, trovare, raccogliere e adattare. Vale sempre meno la pena imbarcarsi in avventure di sviluppo di architetture complesse, quando c’è un mondo intero connesso online, che seleziona, scarta, e costruisce cose che funzionano ad uso di tutti e che possono essere ricombinate con risultati interessantissimi.

Esternalizzazione verso servizi free o low-budget di tutti i costi infrastrutturali
Certo, c’è un limite a tutto, ma per attività di basso, medio traffico tutti gli host di contenuti multimediali (Blip, youtube e simili), e servizi di hosting web tradizionale che con pochi dollari forniscono storage, banda, ambienti di sviluppo, db e gestione domini vanno benissimo. Scaricate un problema, e pensate solo a inventare.

Personalizzazione sartoriale
Gli strumenti disponibili sottraggono tempo e fatica che possono essere reinvestiti nella cura dettagliata della personalizzazione. Che poi è il vero valore aggiunto.

Bassi margini
Inutile pensare di arricchirsi con la rete. Molto meglio tenere un regime di margini bassi ma costanti, che rappresentino il giusto valore del proprio lavoro al netto dei costi vivi. Tentare di fare il colpaccio, oggi come oggi, pare veramente una stupidaggine che rischia di bruciare clienti e basta.

Creatività della crisi
da che mondo è mondo, la migliore creatività viene fuori in presenza di limiti enormi. Datemi tutto quello che mi occorre, e probabilmente farò qualcosa di banalissimo. Datemi tre oggetti, e probabilmente ne trarrò un’opera d’arte. Mai come in questo momento la creatività della crisi diventa fondamentale. Massimo risultato dal minor sforzo.

Ottimizzazione
Tanto più un progetto viene curato con intelligenza, tanto meno costerà dopo. Lavorare bene sulle parti iniziali, sull’architettura delle informazioni, e sull’interaction design, vorrà dire non dover ritornare mille volte sugli stessi elementi solo perchè sono stati progettati occhi a terra e non si è stati in grado di vedere il disegno complessivo.

Un blog per la Strada Sociale di Monteverde

Il mio amico Alessandro mi segnala il rilancio del blog di Strada Sociale, e accolgo volentieri il suo invito a parlarne un po’.

Via A. Toscani, nel quartiere romano di Monteverde, è la prima strada dell’economia sociale a Roma, che ospita oggi dieci servizi sociali e quattro attività commerciali gestite da imprese sociali che propongono il commercio equo, prodotti biologici, una libreria settoriale, un bar, attività culturali e di informazione e sensibilizzazione su temi sociali, sull’ambiente, sulla cooperazione e la solidarietà internazionale. Le attività commerciali sono sempre orientate all’integrazione lavorativa di soggetti “deboli”, all’affermazione di “prodotti solidali”, alla promozione di iniziative di cooperazione internazionale.

Mediante un lavoro di rivisitazione anche architettonica dei luoghi occupati, tutti i cittadini, anche auto-organizzati, utilizzano oggi spazi originariamente “separati” e destinati esclusivamente alle cosiddette “fasce deboli”.

Tutto questo è Strada Sociale, un progetto al cui centro c’è una intensa attività di coinvolgimento e inclusione che mai come in questo caso si può e si deve definire social, declinata su vari strumenti web 2.0 proprio grazie al lavoro di Alessandro.

Il blog di Strada Sociale.

Geotag: Via A. Toscani

Liberi dalla scrivania?

Quattro giorni trascorsi in casa per colpa di un influenzetta mi sono stati utili per constatare ancora una volta che, a meno che non si abbia materialmente bisogno di manovrare macchine specifiche e non connesse alla rete, o che non si debba discutere vis-a-vis con un cliente, ormai c’è davvero pochissimo che costringa alla presenza fisica in ufficio.

Chiunque abbia avuto modo di lavorare in epoca pre-internet sa bene quali incredibili passi avanti sono stati fatti in dieci anni, e con quale velocità esponenziale se ne continuano a fare. Gli strumenti non mancano quindi, e probabilmente la grande maggioranza delle persone desidera davvero evitare non tanto il dover essere in ufficio, quanto il dover essere tutti i giorni nello stesso posto. Ma allora come mai non riusciamo a svincolarci dal luogo fisico di lavoro?
Qualcuno ritiene sia un problema di dimensione dell’azienda. Certo, una grande azienda può avere maggiori difficoltà ad organizzare il lavoro se tutti sono delocalizzati; ma è indubbio che questo problema affligge anche (se non di più) società di media-piccola dimensione.
Qualcuno pensa sia un problema di alfabetizzazione tecnologica. Certo, gli strumenti devono essere condivisi, altrimenti cade il concetto stesso di collaborazione remota. Ma queste resistenze sono spesso ben visibili anche in società medio-piccole fortemente net-savy.

Cos’è che manca allora per liberarci dal giogo della scrivania fisica? Molto probabilmente manca una cosa che si chiama predisposizione culturale all’innovazione, ovvero un sistema fatto da tre architravi ineludibili: organizzazione, fiducia/coraggio, e orientamento al risultato/obiettivo (le ultime due riassumibili probabilmente nel concetto esteso di meritocrazia). E mi pare di poter dire che la cultura italiana (aziendale e non solo) si basa esattamente sui tre architravi opposti (disorganizzazione, diffidenza, e orientamento al tempo di lavoro), che peraltro si annodano l’uno con l’altro in una terribile spirale viziosa.

Temi caldi 1 / Vicky Gitto e l’idea della madonna

Premesso che non mi interessa (anzi mi disturba) la carta velina dell’indignazione a buon mercato, e quindi non vedo nulla di male nell’usare strumenti particolarmente provocatori per comunicare qualcosa di interessante, va detto che Vicky Gitto, nel suo dichiarare l’11 settembre “un’idea creativa della madonna” confonde sicuramente il mezzo con il fine. Al Qaeda ha semplicemente usato uno strumento estremamente rumoroso, ma aver cambiato la storia non è comunque sufficiente: non è stato raggiunto un obiettivo di comunicazione. In questo senso, le grandi dittature totalitarie (quelle che Debord nella Società dello Spettacolo chiamava “lo spettacolo integrato”) hanno raggiunto risultati migliori.
Vorrei solo aggiungere che, forse, la sua è stata un’idea creativa della madonna, visto quanto se ne sta parlando .. 😉

Tra i video dell’advcamp girati da noi di dolmedia c’è anche l’intervento di Gitto.