Vitedigitali

Stemmings. Prenditi una pausa.

Stemmings è un blog collettivo che raccoglie saggi brevi su design e tecnologia, con un approccio narrativo lineare e slow molto raro di questi tempi. Leggendone i post, ho avuto modo di ritrovarmi in quel clima di web readings più meditato e rarefatto in uso nei primi anni del 2000 (penso ad esempio a The Fray, ma anche a molti blog della prima ora), con una particolare attenzione a grafica e tipografia, lontano dalla frenesia che molti di noi vivono su Facebook e Twitter.

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Questo socialcoso non è un albergo

Com’era prevedibile, le controverse affermazioni del Presidente della Camera Laura Boldrini sulla necessità di una discussione senza tabù sul tema del controllo del web hanno scatenato nei giorni scorsi una “cavalleria pronta alla carica” (cit. Zambardino) che non riepilogherò perchè Fabio Chiusi l’ha già fatto molto bene. Aggiungerei solo l’odierna riflessione di Saviano su Repubblica, che merita la lettura comunque la si pensi.

A prescindere dalle questioni di diritto della rete, su cui altri si sono espressi molto meglio di come potrei far io, provo ad aggiungere qualche riflessione “geospaziale”.

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Cos’è il Responsive Design e perchè non dovrebbe essere ignorato dai quotidiani online

Uno spettro si aggira nel mondo della progettazione web. Si chiama Responsive Design, e per ora è derubricato a “mania da smanettone”, almeno finchè un media generalista non deciderà di farne un titolo a quattro colonne. In queste poche righe vorrei provare a spiegare fuor di tecnica (che puoi approfondire qui, se ti interessa) cos’è, e perchè non dovrebbe essere ignorato dai media online.

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Non esiste Big Data. Esistono i big data

Nel suo editoriale di oggi su La Stampa, riferendosi alla campagna elettorale americana, Gianni Riotta presenta Big Data (nome proprio, maiuscolo), come una “nuova tecnica di analisi e ricerca di umori ed opinioni degli elettori”

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La malattia di Salvatore e la sua Cura Open Source

Anche per ragioni personali, sono rimasto molto colpito dalla vicenda di Salvatore Iaconesi, colpito da un tumore al cervello, che ha deciso di rendere pubblici in formato open data tutti i suoi dati clinici per ricevere contributi utili per la sua Cura Open Source. Mi colpisce profondamente il coraggio di mettere in condivisione a questo livello di dettaglio informazioni così sensibili, anche per la valenza – lasciatemi dire – “politica” della scelta.

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Le bozze di Agenda Digitale: un paio di dubbi

Ho dato una scorsa veloce al PDF delle bozze del decreto Agenda Digitale Italiana, rilasciato ieri da Techeconomy, la cui lettura approfondita non è ovviamente agevole senza confronto con le leggi che si propone di emendare, e senza essere avvezzi al linguaggio. Non entrando quindi troppo nel merito, e al netto di aspettative clamorose (continuo a pensare che è meglio mezzo passo avanti che sette indietro), mi pare si profili una particolare attenzione alla sburocratizzazione per la realizzazione di opere infrastrutturali, l’introduzione di nuovi (per noi) concetti relativi alla digitalizzazione scolastico/universitaria e sanitaria, e il sostegno a progetti di ricerca di interesse nazionale. Da qui all’attuazione il passo è tutto tranne che breve, ma tant’è: meglio mezzo passo, eccetera.

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Non è come sembra. La politica e i filtri della rete.

In questi giorno sto leggendo “The filter bubble” di Eli Pariser, già fondatore di Avaaz.org, la cui tesi è che l’introduzione della personalizzazione dei risultati di ricerca di Google, e i flussi di contenuti personalizzati di Facebook e Twitter, stanno delineando un’infosfera personale, filtrata e ristretta che potremmo non percepire come tale. Il rischio è che l’abitudine e la perdita di cognizione del filtro a monte ci restituiscano l’equazione realtà personalizzata = realtà reale. Se quindi dal lato broadcast la lettura dei quotidiani partigiani o il livellamento verso il basso delle tv generaliste escludono di fatto il confronto con idee nuove o semplicemente “altre”, dal lato crowdcasting l’ecosistema internet che si direbbe aperto per definizione rischia di essere così tagliato su misura da escludere idee e suggestioni alternative – con il rischio aggiuntivo di convincerci nel tempo che ciò che leggiamo sui “muri” dei nostri amici è tutto ciò che esiste e che c’è da sapere.

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Qualcosa da dire o nulla da fare (sono stanco)

Così parla dei blog oggi Beppe Severgnini su RMC (via Gigicogo). E non che me ne freghi molto di commentare questa affermazione, ma improvvisamente mi ha fatto tornare la voglia di scrivere sul mio, di blog, abbandonato a se stesso da più di due mesi. Neanche il 2009 ho ancora inaugurato, per dire. I perchè sono tanti, per lo più irrilevanti al grosso di chi saltella per caso o per dolo su queste pagine. O forse no, forse semplicemente a volte le cose che ci circondano prendono il sopravvento, non solo sul nostro spaziotempo, ma anche nella nostra mente, dove a spazi più ampi corrisponde una maggiore fragilità.

Ma non è di questo che voglio parlare. Ho invece ripreso il blog per dire che sono stanco. Sono stanco della continua demistificazione di tutto. Ormai, in rete e non solo, la gara a chi è più cinico è diventata insostenibile. Tutto viene smerdato alla velocità della luce. Tutto chiama uno schieramento continuo. Ogni cosa ha subito il suo rovescio della medaglia, e immediatamente scatta la polarizzazione. Il superSI o il superNO. Parlo della politica, ma anche dei Mac, o dell’ultimo film di non-so-chi. Tutto si sta radicalizzando, ma è solo apparenza. E’ onanismo. A parole siamo tutti assassini, e se mi prendo un attimo per riflettere, sparisco nell’oblìo, travolto dalla dissennata velocità del rilancio continuo, come in crudele gioco d’azzardo senza tregua.

Ecco, rallentiamo, per dio. Lasciamo respirare le cose.

(scritto di getto e non riletto, ma senza fretta)

UGC no, ma IDC forse si

Giovanni Calia produce una interessantissima analisi sullo User Generated Content, nella quale si dimostra che il contenuto bottom-up non è voluminoso e non è in grado di sostenersi da solo, mentre molto più ricco invece lo scambio di relazioni umane dimostrato dal volume di scambio su Facebook.
Condivido appieno l’analisi, ma provo a spingerla un passo più avanti.

Dice Giovanni, sulla scarsa monetizzazione dell’UGC: “La blogosfera italiana ne è un esempio lampante. A parte pochi rari casi, è un rincorrersi a vicenda”. Il caso italiano non può essere preso ad esempio: l’audience di lingua italiana è numericamente irrisoria e non giustifica code lunghe di alcun tipo, ed è quindi evidente che nel corso del tempo la produzione di contenuto si è stabilizzata (e non poteva che essere così) su una forma amatoriale, o funzionale ad obiettivi di visibilità nel settore social media. Qui c’è già un primo punto: in realtà ci sono diversi blogger o produttori indipendenti di contenuti in lingua inglese, che vivono onestamente producendo contenuti di varia natura. La vera domanda è: possiamo chiamare UGC questo contenuto? La risposta secondo me è NO. Questo contenuto, tanto per giocare con gli acronimi, preferisco chiamarlo IDC (independent disintermediated content)

L’IDC è contenuto di qualità, prodotto da individui competenti ed indipendenti, che saltano tutti i passi della catena produttiva e molti di quella distributiva, che conoscono le dinamiche dei media sociali, e che sanno monetizzare la propria produzione per ricavarne un income ragionevole, o comunque corrispondente al costo della produzione più un adeguato margine.

L’IDC non solo non è morto, ma gode di salute crescente per almeno un paio ragioni:

  • Ha un valore. Nonostante la democratizzazione dei mezzi di produzione di contenuto, i produttori di IDC sono pochi, e la qualità è generalmente medio alta. E’ vero che ancora si tratta di contenuti legati alla rete, e quindi piuttosto autoreferenziali, ma le cose stanno cominciando a cambiare e cambieranno rapidamente.
  • l’IDC è adatto sia a media mainstream e a social media, con livelli di disintermediazione diversi. Questo comporta una elevata monetizzabilità e un interessante bacino per gli editori mainstream, che possono far affidamento su qualità, continuità e professionalità a costi competitivi.
  • la sua natività sociale/digitale lo pone più avanti di contenuti i cui producer inseguono la rete. Questo è un vantaggio competitivo stabile, che può rafforzarsi col tempo. E’ molto più facile cambiare crafting e strategie distributive per un produttore di IDC, che per chi deve smuovere ogni volta una portaerei editoriale.

A suivre.

Mutazioni Digitali, live

Oggi pomeriggio alle 18.30 dalla FNAC di Roma andrà in onda su Cannocchiale TV in diretta (e immediatamente dopo ondemand) la prima puntata di Mutazioni Digitali.

Nato come un evento pensato, voluto e organizzato da Marco Traferri e Antonio Pavolini, Mutazioni Digitali è stato trasformato in un format tv coprodotto con Cannocchiale TV. Si tratterà fondamentalmente di un esperimento: cercare di uscire un po’ dalla logica del convegno barboso, e rendere l’evento fruibile in diretta e on demand con attenzione alla qualità senza investimenti colossali. Faremo sicuramente qualche errore, la formula si raffinerà nel tempo, ma l’idea c’è, e con essa anche la giusta passione per realizzarla.

Se ne avete voglia, veniteci a trovare alla FNAC del centro commerciale di Porta di Roma, oppure seguiteci live sul canale Mutazioni Digitali di Cannocchiale TV dalle 18.30.