Si è già molto parlato del Melbourne Remote Control Tourist, la straordinaria campagna ideata per lanciare il turismo a Melbourne che ha avuto luogo dal 9 al 13 Ottobre del 2013, ma in questi giorni per ragioni professionali mi sono dedicato a studiarne i diversi aspetti tecnici, e mi è venuta voglia di raccontarla brevemente a chi non la conosce.
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Sono ormai trascorsi diversi anni dai primi seminali barcamp in cui, con i primi progetti di dolmedia, studiavo format live integrati con gli eventi, con tutti i limiti tecnologici di 6 o 7 anni fa, ma con la convinzione di poter interpretare e arricchire con il live la tipica immediatezza di un evento caotico e destrutturato come un barcamp. L’idea era (ed è ancora) quella di sviluppare progetti di coinvolgimento real time fortemente incentrati sul live streaming e sulla generazione di un flusso di contenuti ondemand in tempo reale, per aggiungere all’evento una ulteriore dimensione di racconto e valorizzazione. Questi esperimenti mi furono infatti molto utili per diverse produzioni realizzate negli anni successivi (penso al format delle prime edizioni di Frontiers of Interaction, o le videochat con Veltroni durante la campagna elettorale 2008 del PD, o i progetti realizzati nelle varie edizioni del Festival del Giornalismo).
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Cara Domitilla,
sono uno dei lettori a cui ti sei rivolta nel tuo libro “Due gradi e mezzo di separazione”. Sai, all’inizio mi ha stupito il tuo parlarmi direttamente dandomi del tu, un po’ come quando in un film un attore si gira all’improvviso verso la cinepresa guardando negli occhi lo spettatore. Hai presente quel misto di imbarazzo e curiosità, come se improvvisamente fossimo colti in flagrante a spiare le vite degli altri? Ecco, qualcosa del genere. Ma poi, dopo qualche riga, dopo qualche pagina, non mi è stato difficile accettare il gioco, e sentirmi coinvolto in prima persona nel tuo ragionamento. E hai rischiato di brutto, vorrei dirti: e se io avessi concluso che 181 pagine in cui ti rivolgi a me parlandomi di così tante cose, sono un pistolotto insostenibile? Ma il fatto è che hai molto a cuore le cose di cui parli, che sono evidentemente il frutto di una tua esperienza diretta e molto personale, e questo rende il tuo libro tutt’altro che paternalistico o saccente. Anzi.

Stemmings è un blog collettivo che raccoglie saggi brevi su design e tecnologia, con un approccio narrativo lineare e slow molto raro di questi tempi. Leggendone i post, ho avuto modo di ritrovarmi in quel clima di web readings più meditato e rarefatto in uso nei primi anni del 2000 (penso ad esempio a The Fray, ma anche a molti blog della prima ora), con una particolare attenzione a grafica e tipografia, lontano dalla frenesia che molti di noi vivono su Facebook e Twitter.
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Com’era prevedibile, le controverse affermazioni del Presidente della Camera Laura Boldrini sulla necessità di una discussione senza tabù sul tema del controllo del web hanno scatenato nei giorni scorsi una “cavalleria pronta alla carica” (cit. Zambardino) che non riepilogherò perchè Fabio Chiusi l’ha già fatto molto bene. Aggiungerei solo l’odierna riflessione di Saviano su Repubblica, che merita la lettura comunque la si pensi.
A prescindere dalle questioni di diritto della rete, su cui altri si sono espressi molto meglio di come potrei far io, provo ad aggiungere qualche riflessione “geospaziale”.
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Uno spettro si aggira nel mondo della progettazione web. Si chiama Responsive Design, e per ora è derubricato a “mania da smanettone”, almeno finchè un media generalista non deciderà di farne un titolo a quattro colonne. In queste poche righe vorrei provare a spiegare fuor di tecnica (che puoi approfondire qui, se ti interessa) cos’è, e perchè non dovrebbe essere ignorato dai media online.
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Nel suo editoriale di oggi su La Stampa, riferendosi alla campagna elettorale americana, Gianni Riotta presenta Big Data (nome proprio, maiuscolo), come una “nuova tecnica di analisi e ricerca di umori ed opinioni degli elettori”
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Anche per ragioni personali, sono rimasto molto colpito dalla vicenda di Salvatore Iaconesi, colpito da un tumore al cervello, che ha deciso di rendere pubblici in formato open data tutti i suoi dati clinici per ricevere contributi utili per la sua Cura Open Source. Mi colpisce profondamente il coraggio di mettere in condivisione a questo livello di dettaglio informazioni così sensibili, anche per la valenza – lasciatemi dire – “politica” della scelta.
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Ho dato una scorsa veloce al PDF delle bozze del decreto Agenda Digitale Italiana, rilasciato ieri da Techeconomy, la cui lettura approfondita non è ovviamente agevole senza confronto con le leggi che si propone di emendare, e senza essere avvezzi al linguaggio. Non entrando quindi troppo nel merito, e al netto di aspettative clamorose (continuo a pensare che è meglio mezzo passo avanti che sette indietro), mi pare si profili una particolare attenzione alla sburocratizzazione per la realizzazione di opere infrastrutturali, l’introduzione di nuovi (per noi) concetti relativi alla digitalizzazione scolastico/universitaria e sanitaria, e il sostegno a progetti di ricerca di interesse nazionale. Da qui all’attuazione il passo è tutto tranne che breve, ma tant’è: meglio mezzo passo, eccetera.
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In questi giorno sto leggendo “The filter bubble” di Eli Pariser, già fondatore di Avaaz.org, la cui tesi è che l’introduzione della personalizzazione dei risultati di ricerca di Google, e i flussi di contenuti personalizzati di Facebook e Twitter, stanno delineando un’infosfera personale, filtrata e ristretta che potremmo non percepire come tale. Il rischio è che l’abitudine e la perdita di cognizione del filtro a monte ci restituiscano l’equazione realtà personalizzata = realtà reale. Se quindi dal lato broadcast la lettura dei quotidiani partigiani o il livellamento verso il basso delle tv generaliste escludono di fatto il confronto con idee nuove o semplicemente “altre”, dal lato crowdcasting l’ecosistema internet che si direbbe aperto per definizione rischia di essere così tagliato su misura da escludere idee e suggestioni alternative – con il rischio aggiuntivo di convincerci nel tempo che ciò che leggiamo sui “muri” dei nostri amici è tutto ciò che esiste e che c’è da sapere.
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