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Slotmusic, ancora con la storia della morte del CD?

La Sandisk, insieme ai quattro colossi discografici Sony, Warner, Emi e Universal, lancia sul mercato un nuovo supporto fisico per la musica, SlotMusic. Non si lasciano attendere i commenti (qui e qui), il cui punto di partenza però è incredibilmente sempre lo stesso: “la sfida al cd”, “la morte del cd”, “ma serviva un’alternativa al cd”, ecc. Devo dire che mi stupisce, e non poco, questa permanenza dell’idea tutta novecentesca del progresso industriale come una linea dritta in cui cose “nuove” sostituiscono cose “vecchie”. Pensare ancora in termini di “scheda SD che sostituisce il CD” vuol dire partire da presupposti errati e inadatti a comprendere la portata di nuovi fenomeni.

La realtà dell’industria musicale, per chi la fa, la compra, la vende, è molto più articolata (come molte altre cose, del resto), ed è basata su un certo numero di fenomeni paralleli, spesso contraddittori, ma proprio per questo spie di una complessità che è, questa si, segno dei tempi. Oggi si può: scaricare musica illecitamente da network p2p o tramite passaparola su siti di file-sharing. Acquistare musica digitale lecitamente da Itunes, Emusic, ecc. Acquistare musica semi-illecitamente da shop russi. Acquistare brani come suonerie del telefonino ad un prezzo triplo (in proporzione) a quello del cd. Acquistare splendidi dischi in vinile, che le case discografiche stanno reimmettendo sul mercato a prezzi alti ma ragionevoli, e con un confezionamento cento volte migliore rispetto alle ultime releases del mass market degli anni 80. Bene, SlotMusic sarà semplicemente un’altra soluzione che si affiancherà a tutte queste, con l’obiettivo di raggiungere una nicchia ben precisa (tutti i non possessori di Ipod), ad un prezzo ragionevole (10$). Tutti elementi che ne fanno un’idea economicamente sostenibile e vincente, senza la pretesa di diventare la “soluzione” definitiva (a cosa poi?). Lo stesso CD molto probabilmente non sparirà, ma continuerà a svolgere la sua funzione di vettore fisico di musica ad alta qualità, auspicabilmente con un ritocco dei prezzi (scelta già praticata da diverse case discografiche), in una precisa nicchia di mercato.

Io continuerò ad acquistare dischi in vinile della musica che amo e che voglio conservare. Sono cresciuto con questo supporto, e trovo che il rapporto qualità (confezione, audio, ecc) e prezzo sia imbattibile. Ma ben vengano altri duecento supporti per duecento nicchie diverse. Tante soluzioni offrono alternative che allineano il mercato, e mettono al riparo da speculazioni.

Temi caldi 3 / Blogosfera: Pillola blu o pillola viola?

Nel 2003, indispettito per la scarsa attenzione nei confronti di blogout, e in coda alla constatazione di una già evidente glamourizzazione del blogging, scrissi un post piuttosto acido. Qualche giorno dopo arrivò una lucida risposta di Mantellini, che, prendendo a prestito le tesi di World of Ends di Searls e Weinberger, scriveva:

“Continuiamo ad applicare le solite categorie di una comunicazione che discende da un centro e scivola verso gli ascoltatori mentre oggi la struttura e’ molto cambiata e scrivere un blog su Virgilio e’ ormai semplicemente una tautologia”

Con i miei tempi assorbii quella risposta e la feci mia, rimanendo comunque un po’ defilato dalla parte più modaiola e glitter della blogosfera, un po’ per distanza (il centro è sempre stato Milano), un po’ per convinzione, un po’ per timidezza.

Nel frattempo ho continuato a riflettere sul blogging italico, scribacchiando altre cose (1, 2 e 3) il cui tema più o meno è sempre stato il tentare di capire se non ci fosse effettivamente un problema di piramidalizzazione nella blogosfera, provocato da un approccio intrinsecamente e inevitabilmente italiano al mezzo.

Tutto questo non per fare un’apologia del mio pensiero, ma più che altro per dire che non si può, davvero non si può più fare di tutt’erba un fascio, e mescolare questioni diversissime fra loro in una visione tutta monodimensionale come quella fatta da Novecento o, peggio, da Marco Mazzei. Non dopo 5 o 6 anni di discussioni estenuanti e – quelle si – assolutamente autoreferenziali, sull’involucro della blogosfera.

Più di tre anni fa, quando mi chiedevo:

Cosa succederebbe se all’improvviso un virus impazzito rimescolasse tutti i titoli e tutti i domini dei milioni di blog esistenti in rete? La popolarità dei soli contenuti del dopo virus sarebbe coerente con la popolarità dei contenitori che li ospitavano prima?

non avevo ancora esperito vicende come quella di Sergio Sarnari e il mobilificio o BlackCat e la Carrefour, tanto per dire, dimostrazione evidente che ora, grazie anche a strumenti nuovi come twitter e friendfeed, le idee circolano molto più rapidamente e fluidamente.

A questo punto, se c’è ancora qualcuno che pensa che invitare trenta blogger (di cui io non faccio parte, tanto per dire) a parlare con Bernabè è una cosa che può avere un senso, va bene, chissenefrega. Lo facciano. Qual’è il vostro problema? Che pensate non serva? O che volevate esserci voi? Perchè se parliamo del primo caso, allora usate il vostro blog per proporre qualcosa di costruttivo, su possibili ipotesi di confronto fra aziende e blogger. Io ad esempio credo che sarebbe interessante ogni volta lanciare grandi sondaggi per scegliere venti persone per andare a discutere con Bernabè o Scott Jovane, ma è solo un’idea.

Ma su una cosa, invece, sono d’accordo. Il badge viola della blogfest (che io avevo ma solo in quanto parte dell’organizzazione di un barcamp) serve solo a scatenare stupide invidie. Io non mi sono sentito figo a poter entrare al Tiffany, sinceramente. Evitando questo genere di cose, forse non si darebbe neanche il là a discussioni noiose e trite, e si marcherebbe una differenza reale fra un sesto potere veramente orizzontale, ed altri mondi di nani e ballerine.

Rimane il fatto che la Blogfest (come altre situazioni) era aperta, si è passato il 95% del tempo tutti insieme al centro congressi, o divisi e mescolati nei vari ristoranti di Riva, e nessuno andava in giro con la scorta o con lo scettro. La casta è negli occhi di chi la vede, semmai ci sono meccanismi rete-mondo reale da modificare. Meglio allora fare proposte concrete per capire come massimizzare l’energia della conversazione globale.

Un pallone di stracci, il profumo del caffè.

Sono un appassionato di calcio. Romano, e romanista cresciuto a Testaccio, figlio e nipote di gente che il calcio l’ha vissuto con la palla di stracci e l’appartenenza di quartiere. Sono storie che ormai non esistono più se non nel cuore di chi, come me, si commuove ancora a ricordare il sorriso del nonno la domenica pomeriggio, il profumo del caffè, gli sfottò con i laziali. Per me, come per molti altri, il calcio è ancora questo: calore, fratellanza, sorrisi, gioco, emozione. E sarà così per sempre, perchè è la mia storia, è casa mia, e sono cose che si possono condividere solamente con chi può e vuole capirle, inutile tentare con chi non sa, non c’era, ha altri ricordi e altre immagini nel cuore.

Tutto questo, purtroppo, ha solo marginalmente a che fare con ciò che è il calcio oggi, un cancro che non puoi estirpare da dentro perchè uccideresti con esso anche parte di ciò che sei. Per questo non faccio parte di quanti getterebbero via il bambino con l’acqua sporca, non faccio parte di quanti considerano “il calcio” tout cort come vero e complessivo problema. No, è inutile girarci intorno, finchè verrà concesso alle società di accettare questo comportamento da parte dei tifosi per paura di inimicarsi la loro fonte primaria di introito, il problema non si risolverà mai. Che il governo e il parlamento costringano le società a pagare pesantissime multe ogni singola volta che una testa di cazzo ultrà crea il benchè minimo problema alla civile convivenza. Lasciamo stare l’abolizione delle trasferte, la chiusura degli stadi, la sospensione del campionato. Multe PESANTISSIME any given sunday. A forza di menare una badilata sulla testa delle società ogni singola volta, il problema si risolverà. E finalmente potremo tornare a vivere il calcio per quello che è, e che nei miei occhi è sempre stato.

Una festa in famiglia. Una tazzina di caffè. Il mio quartiere. Mio nonno.

Sfinire gli arroganti, con stile

Si parla molto in questi giorni del bagnetto presidenziale di Fini nell’area protetta di Giannutri, con tanto di scorta dei vigili del fuoco. C’è la vignetta di Rododendro su Macchianera, il lapidario post di Axell, e molti altri.
Leggendo i commenti, incluse alcune sfumature nelle parole di Tozzi, non si può non ravvisare una comprensibile indignazione moralistico-vendicativa data dalla sensazione sempre più chiara e definita di un calcio in faccia alle regole e a noialtri scagliato dai potenti di turno. Ma a ben guardare, mi chiedo se questa indignazione, nel mondo reale (quello fuori da FriendFeed, per intenderci), non faccia altro che alimentare il solito sentimento di pancia del nostro amato popolo: “tu che sei di sinistra ti indigni perchè sei invidioso del suo potere ma beato lui che fa come gli pare magari potessi io parcheggiare la macchina sul marciapiede in pieno centro”.

Sbaglierò, ma sono profondamente convinto del fatto che bisogna farla finita di stracciarci le vesti. Fini ha fatto il bagno nella riserva di Giannutri? Che paghi una bella multa salata consegnatagli in silenzio, senza soddisfazione vendicativa. Il capo dei vigili del fuoco ce l’ha accompagnato? Che venga punito inflessibilmente e secondo legge. E che questo si faccia ogni volta, fino a sfiancare, innervosire, rendere la vita difficile ai potenti, togliendogli il supporto silenzioso di chi li considera dei fortunati privilegiati che si meritano, per la loro furbizia, il diritto di fare quel che fanno.

Nella nostra idignazione è insita la consapevolezza storica dell’intoccabilità di queste figure. Facciamo un passo avanti, smettiamo di battere i piedi per terra e di fare i capricci, e puniamoli senza clamori.

Stanchezza democratica

Lo ammetto: sono uno di quelli che credeva in Veltroni e nel suo progetto. Ci credevo perchè conosco e ammiro l’uomo, la sua sensibilità, la sua onestà intellettuale. Ci credevo perchè speravo che il nostro paese, smarrito, confuso, stanco, avrebbe capito, e l’avrebbe scelto. Ma questo non è successo, e i numeri hanno dimostrato che non si è trattato di una sconfitta per sommatoria (con la Lega associata al Pdl c’era comunque poco da fare), ma di una sconfitta nel merito. Il paese non ha capito, o non ha voluto, Veltroni. Ancora una volta il paese ha scelto un uomo arrogante, spocchioso, ignorante, furbo, di successo, per rappresentare tutto quello che è, non può non essere, e vorrebbe essere.

Abbiamo insomma toccato con mano che viviamo in un Italia non dissimile da quella del ventennio fascista. Un manipolo numericamente irrisorio di individui ha fatto passi avanti (usa friendfeed, mangia biologico e sushi, legge Palahniuk e si informa con i feed RSS), ma il resto è lì: si lamenta, cerca un cognato di un cugino (o viceversa) per avere un posto fisso, legge Visto, guarda il TG1/2/3/4/5, va in vacanza a ferragosto a Rimini o Ladispoli, oppure compra e vende soldi, è iscritto alla massoneria, va in barca a Porto Cervo, evade le tasse.

Il risultato di questa consapevolezza è un partito (il PD) che, semplicemente, non sa cosa dire, non sa con chi parlare, non sa cosa fare. Il “civilismo”, la proposta politica rigettata dal paese e per definizione non rinnegabile, si è trasformato in una gabbia di stucchevole “buonismo” che rivela ciò che non riesce a nascondere: l’incapacità di prendere posizione sui temi che scalderebbero i cuori raggelati di quel 33% che c’aveva creduto. Lo vedi dalle Feste (come racconta Federico), luoghi freddi e stanchi, e in cerca di identità. Lo senti parlando con la gente al mercato, rassegnata all’inesistenza di un grande partito a cui affidarsi per contrastare la dittatura culturale del pensiero debole. Lo vedi in chi sta guardando a Di Pietro come al salvatore della patria. Lo vedi in me, che per la prima volta da vent’anni mi sento orfano, non tanto di un partito, quanto di un’area di riferimento culturale e di pensiero. E guardo Obama in tv, alla convention democratica, e mi rendo conto di essere disinteressato più che invidioso. Sono stanco. Democraticamente stanco.

E’ dentro di noi.

Se ci soffermiamo a pensare all’idea di giusto e sbagliato che abbiamo coltivato fin da bambini, ci accorgiamo di percepire questa dicotomia su due livelli distinti: c’è il giusto/sbagliato in senso assoluto, poi c’è il giusto/sbagliato della pratica quotidiana, del sentire istintivo, quasi rassegnato. A differenza dei protestanti e della loro spietata morale interiore, l’italiano cresciuto nel triangolo chiesa, monarchia e mafia ha costruito la sua cultura intorno al concetto di peccato e perdono, esasperando il doppio passo fino alla sovrapposizione. L’equazione finale ci dice che l’italiano medio pontifica sui grandi valori (il giusto e lo sbagliato assoluti), ma è autorizzato a sbagliare perchè dio lo perdonerà, ma solo in misura della sua potenza e ricchezza (il giusto e lo sbagliato del quotidiano).

Ecco perchè, in un solo paese, riusciamo ad accettare l’esistenza di un presidente del consiglio pluri-inquisito che appena eletto fa sfornare una legge per bloccare i suoi processi, la condanna-farsa per le vicende di Bolzaneto, e l’accanimento cattolico nei confronti di Eluana, la donna in coma da 16 anni i cui genitori vorrebbero staccare l’alimentazione forzata. Ma anche un paese in cui l’albanese e il rom sono sporchi e cattivi e vanno puniti “a prescindere”, tranne Elvan che mi imbianca casa e Ana che mi fa le pulizie. Tu potrai anche essere laico, socialista, ateo, ma se guardi in fondo alla tua coscienza, anche tu troverai tracce di questo cancro.

I mercati sono querele

Non mi sono mai piaciute le levate di scudi di un gran numero di persone allineate attorno ad un pensiero solo, magari modellato in modo grossolano. Sono diffidente per natura quanto vedo troppa gente pensarla nello stesso modo, semplicemente perchè non mi sembra naturale. E allora, in questa vicenda dell’azienda di arredamenti che ha fatto causa per diffamazione al giovane Sergio Sarnari per via di un post particolarmente avvelenato nei loro confronti, ho provato a ragionare a mente fredda, e a non pensare soltanto all’ovvio tema della libertà di pensiero e di informazione. (update: fatta salva assolutamente la solidarietà per Sergio, per questa vicenda mi legherei anche al Colosseo). Mi torna invece in mente la frase storica del Cluetrain Manifesto “I mercati sono conversazioni”. Leggi

L’impietosa cronologia inversa

Prendo spunto dal breve pezzo di oggi di Gaspart, che rilancia un lungo, bellissimo post di Gilgamesh sulla vicenda del Myanmar. Il tema è semplice, quanto antico: le tragedie, specie quelle lontane dall’occidente, vengono lasciate indietro e dimenticate. Ma c’è un elemento forse nuovo in questa storia che nuova non è, su cui forse vale la pena di fare una riflessione in più: oggi abbiamo sia gli strumenti per evitare che ciò accada, sia per constatare che, in effetti, NON accade.
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Il clima di Roma e dell’Italia

Le avvisaglie le avevamo avute la sera del trionfo di Alemanno, quando una gran folla di scalmanati si riversava nelle strade del centro e sotto il Campidoglio inneggiando alla presa della città. Ma un po’ di sana lucidità mentale ci avrebbe consentito di vedere e capire ben prima, quando furbi populisti cavalcavano sonoramente fatti di cronaca per dipingere (e di conseguenza creare) uno scenario di terrore e paranoia. Come ampiamente prevedibile, il clima costruito ad arte sta cominciando a dare i suoi frutti, e un certo numero di giustizieri della notte, sentendosi spalleggiato da chi, per mesi, ha sdoganato l’intolleranza bieca e acritica per convenienza elettorale chiamandola libertà (paradosso dei paradossi), ha iniziato ad operare senza vergogna in giro per la città. Leggi

Il circolo vizioso del fatalismo e dell’incompetenza

Ho letto con curiosità e interesse la vicenda di Simone Brunozzi, 31enne programmatore italiano assunto da Amazon come evangelist per AWS Europe. E generalmente, ciò che leggo con curiosità e interesse si sedimenta, fermenta, e mette in moto sensazioni che prendono forma e carattere dopo qualche giorno.
La storia di Simone è semplice nella sua cinematografica complessità: ha scoperto l’esistenza di una posizione professionale che l’avrebbe finalmente potuto gratificare, si è reso conto di avere i numeri giusti per giocarsela, ha fatto tutto quello che (lecitamente) poteva per ottenere l’assunzione, e alla fine l’ha ottenuta. Ad una prima, superficiale lettura potrebbe sembrare la storia di un qualunque ragazzo rampante ed arrivista che cerca di perseguire un obiettivo di carriera
Ma a ben leggere, è proprio la complessità di questa storia che cela fra le righe ciò che veramente le dà un senso diverso. Leggi