Ci crederesti che da quando ho smesso di fumare non riesco più a concentrarmi come vorrei? Ad esempio fatico a scrivere, e questa è la dimostrazione lampante di quanto quella mondezza faccia male (ti fa credere che sai scrivere, per dirne una). Questa premessa però – diciamoci la verità – serve solo a giustificare a me stesso l’aver ricominciato questo post almeno dieci volte, ma la verità è che non è facile raccontare perché ho fondato una nuova società (che si chiama Vudio) insieme ai miei due storici compagni di tante avventure Lisa Miraldi e Pierangelo Valente, e perché ho passato quasi cinque mesi – e molte lunghe serate – a mettere insieme un libro che era nato come un post di venti righe. E soprattutto, perché proprio ora.
LeggiMondoreale

Possono convivere il “paese per startup” e il paese di Sulcis, Ilva, Fiat, Finmeccanica e delle migliaia di operai a rischio lavoro? Ci pensavo oggi, leggendo il post di Luna sull’ISDAY, e sui volti da startupper.
LeggiGiro intorno a queste parole da tre giorni, da quando sabato pomeriggio Alessandro se n’è andato, terminando una sofferenza durata quindici lunghissimi anni.
Conoscevo Ale da quasi trent’anni, una vita intera, che non avrebbe senso condensare in poche parole che somiglierebbero a quegli epitaffi formali a cui non avrebbe potuto essere più allergico.
Alessandro doveva la sua forza e il suo coraggio soprattutto alla sua capacità innata di essere concentrato sulle cose e sulle persone che amava, ed è questo l’insegnamento più importante che la sua vicenda umana ha lasciato a me e a tutti coloro che gli erano vicini. E il modo migliore di ricordarlo, per me, sarà tenere a mente ogni giorno questo insegnamento.
Ciao Ale.
Alessandro ha 45 anni, e da 15 combatte con un timoma. Una vita così avrebbe messo a dura prova chiunque, molti avrebbero mollato. Ma quando si ha passione per la vita, e per le tante cose belle che essa offre, non ci si rassegna mai. Questo è l’Alessandro che ho voluto raccontare in questo video.
Ho cominciato a lavorare e versare contributi nel 1992. Tra alti e bassi e varie configurazioni (partita IVA, contratti a progetto, emolumenti da amministratore delegato, e INPS + ENPALS), nel 2012 avrò lavorato per vent’anni. Tra i nati negli anni intorno al ’69, il mio anno di nascita, mi considero fortunato per due ragioni: la prima è che ho cominciato a lavorare piuttosto presto rispetto alla media; la seconda è che ho seguito molto da vicino l’innovazione tecnologica (strumenti e processi), perchè è sempre stata parte integrante della mia attività professionale.
Perché la seconda ragione è importante?
LeggiSe per un attimo lasciamo da parte i messaggi ugualmente massimalisti, ad uso esclusivo dei titoli in corpo 40 dei giornali – “va tutto bene, i mercati non c’entrano con la politica”, “va tutto male, è colpa della casta” e via discorrendo – e se per un attimo spegnamo sia le agiografie minzoliniane, sia le drammatizzazioni sceneggiate e punteggiate dai violini di Daniel Bacalov, nel sommesso brusio del quotidiano dove dieci minuti sono dieci minuti, e 8 ore sono 8 ore (trascorse in fila alla posta, o a controllare i bonifici, o a litigare con un cliente, un capo, o un dipendente), la realtà la vediamo lì, proprio davanti ai nostri occhi. Il pasto nudo, lo chiamava Jack Kerouac suggerendo a William Burroughs il titolo della sua opera maggiore, “un attimo raggelato in cui ognuno vede quello che c’è in cima ad ogni forchetta”.
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Cè un aspetto che mi ha colpito nella reazione dei notabili del centro destra dopo la sonora scoppola elettorale, e provo a spiegarlo.
Negli anni di sostanziale dominio politico e culturale del giro Bossi-Berlusconi (cioè fino a ieri), ci è stato fatto intendere che il centrosinistra non era in grado di ascoltare la “pancia del paese”. Ve lo ricordate, no? Dicevano che il centrosinistra era ancora legato agli schemi ideologici novecenteschi, che la realtà era cambiata, che i bisogni del paese profondo erano diversi da quel che dell’altro lato si credeva e si intendeva. Una cultura politica post-ideologica, ci si disse, dove i vecchi schieramenti destra-sinistra non contavano più, dove le ricette passavano per l’interpretazione dei “bisogni del popolo”. E giù con le ronde, col fascismo economico spacciato per liberismo, con il velinismo come risposta al precariato, eccetera.
Passano gli anni, e si arriva alle Elezioni Amministrative 2011. Le elezioni locali, come si sa, sono il miglior termometro politico per misurare i mutamenti sociali in atto e “in nuce”, e i risultati li conosciamo tutti. Cosa è successo? E’ cambiato il sentire delle viscere degli italiani? Forse. Ma è lecito però anche un altro pensiero, che mettiamo in forma di domanda: sarà mica che il centrodestra ha cercato di convincerci tutti che il nostro vicino voleva arrostire i musulmani e i gay, un po’ come quando la polizia cerca di farti confessare dicendoti che il tuo compare lo ha già fatto? Bene, il dubbio ce lo hanno fugato gli stessi notabili del centrodestra, che a caldo dopo le elezioni si sono preoccupati di dire immediatamente che i cittadini “si pentiranno della loro decisione” e che “non hanno capito le cose che sono state fatte”. Una reazione scomposta, e niente affatto post-ideologica. Anzi.
Ora però, come si suol dire, il re è nudo, l’omuncolo è uscito dal mascherone come nel Mago di OZ, e abbiamo toccato con mano che nelle realtà locali, quelle dove la vita vissuta è più vicina a chi gestisce le redini della democrazia, esiste un’idea ampiamente maggioritaria di tolleranza, di rispetto reciproco e di bisogno di pacificazione che è funzionale al miglioramento della qualità della vita, e non è invece buonismo d’accatto per garantirsi un’indulgenza. E il centrodestra ha di fronte a se una scelta: o cambia politica, in ossequio al progetto originario di avere sintonia con la pancia del paese, oppure continua con l’approccio ideologico di sempre.
Se vent’anni fa mi avessero detto che un giorno avrei guardato la bandiera dell’Italia con un piccolo, quasi impercettibile fremito di orgoglio, non ci avrei creduto. Non sono mai stato nazionalista, ho sempre creduto nel superamento dei confini geografici, politici, culturali, di quelle pesanti pareti dentro cui il nostro provincialismo ha prosperato, e continua a prosperare a tutto vantaggio di pochi speculatori. Ma ho da tempo fatto pace con le mie radici, e da tempo vivo una stancante condizione di amore per il paese in cui sono nato e cresciuto, misto a odio per una scatola di latta e cartone da cui non si riesce ad uscire (per incapacità, o forse per volontà).
È per questo che non guardo più con ostilità quei tre pezzi di stoffa verticali colorati, ed è per questo che ho ancora una pallida speranza di poter vedere gli abitanti di questo paese capire, una volta per tutte, che elevare a monarca la rappresentazione simbolica di tutte le nostre peggiori inclinazioni soltanto per giustificare la nostra indolenza, significa distruggere la nostra stessa vita quotidiana. Svegliamoci, santiddio. Altrimenti fra altri 150 anni non solo non ci sarà più l’italia, ma ci saremo divorati il fegato l’un l’altro.
E così anche oggi, come in qualunque day after di qualunque elezione, si sgranano i rosari delle percentuali. Qualcuno cerca ragioni di esultanza, altri cercano capri espiatori, altri cercano sostegni numerici alle riscosse politiche. Ma ci sono alcune verità che sono sotto gli occhi di chiunque decida di non serrarli: il PD campicchia, Il PDL cala parecchio al Nord, ma soprattutto la Lega ha fatto il botto in più di mezza Italia. E il tema del referendum sulla persona Berlusconi rimane sullo sfondo, un po’ sfuocato.
Il premio al localismo della Lega ci dice che la gente non ne può più dei referendum su Berlusconi, perchè non è lì il problema. Queste migliaia di persone delle province lombarde, venete, piemontesi, emiliane vanno in massa a votare un partito che ha un progetto chiaro in mente, e che parla delle loro case, degli angoli delle loro strade, lì dove la politica è scomparsa da tempo, dove certamente la televisione mistificatrice del cinismo Berlusconiano nutre la paura di tutto ciò che è “altro”, restringe gli orizzonti e concentra l’attenzione sull’eterno oggi, ma altrettanto certamente c’è qualcuno che tutti i giorni si fa il mazzo per riempire il vuoto dei sogni, raccontando credibili prospettive a lungo termine di piccoli mondi migliori, fatti di piccole comunità autosufficienti al riparo dalla globalizzazione e dalla violenza del mondo marcio, brutto e cattivo.
Certo, è probabile che Lega e PDL siano al punto di equilibrio per cui da ora non potranno che mangiarsi l’un l’altro. Ma se dall’altra parte non ricominciamo in fretta a dipingere chiare alternative possibili e realistiche, che tengano conto con serietà dei VERI bisogni, delle VERE paure, e del VERO vocabolario di strada della VERA gente, allora non rimarrà che il deserto. Altro che sol dell’avvenire.
Da otto anni a questa parte, ogni anno l’11 settembre mi vado a rileggere velocemente questa paginetta di post dedicati all’attacco agli USA, scritti sul mio blog tra l’11 e il 14 settembre 2001. Sono poco più che banali twittate, ma a me rileggerli fa sempre un forte effetto.