Fuorionda

I vopos di Helmstedt–Marienborn e il muro di Berlino

Nel 1988 valeva la pena sdraiarsi a dormire nei corridoi dei treni rapidi per andare in Europa. L’aereo costava caro, e l’inter-rail aperta rendeva possibile a noi non-ancora-ventenni girare senza limiti in quelle terre sconosciute. E noi volevamo andare a Berlino.

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Dignità

Uno dei ricordi più vivi di mia nonna Clara, era il modo in cui faceva a pezzi piccoli il pane avanzato a pranzo e a cena, e lo metteva in un cassetto sotto al tavolo della cucina. Quel pane la mattina dopo veniva immerso nel caffellatte e ammorbidito per poter essere mangiato. E quello che avanzava anche al rito mattutino, si trasformava in pangrattato e ci si cucinava. Mia nonna cuoceva l’insalata non più fresca abbastanza per essere mangiata cruda, e comprava e portava a tavola la carne con rispetto. Quando un giorno di vent’anni fa le dissi “Nonna, io non mangio più carne, sono diventato vegetariano”, mi guardò con aria molto preoccupata e mi disse “fijo mio, e che te magni mo’?”

Mia nonna chiedeva sempre a mio nonno Giulio cosa voleva mangiare per pranzo e per cena. E dopo pranzo gli portava il caffè nel bicchierino di vetro, mentre lui, seduto di spalle alla bella finestra di Testaccio che dava sul Tevere, fumava le sue Gauloises senza filtro. Mio nonno accompagnava mia nonna ovunque lei desiderasse, persino in chiesa la domenica, dove però non entrava. Preferiva andare al club della Roma in via Giovanni Branca, dove discuteva animatamente della domenica calcistica, di Berlinguer e di Andreotti. Qualche volta andavo con lui, e mi piaceva tanto ascoltare il suo vocione tonante con cui parlava dei furti della Juventus o delle “ganasse” dei cardinali. “La cariola co la rota quadra, ve ce vorebbe. Sti quattro mascarzoni, ladri, delinguenti” Poi tornava a prendere mia nonna fuori dalla chiesa, e a passo lento, sottobraccio, se ne tornavano a casa insieme. La camicia perfettamente stirata, con le iniziali ricamate a mano.
I rumori della guerra ancora nelle orecchie.

Una vita da operaio ancora sulle spalle.

Una dignità che non dimenticherò mai.

(Ho pianto, scrivendo queste parole. Si vede che ho fatto bene a scriverle.)

(e grazie a Sir Squonk, che ogni hanno mette insieme i pensieri di tante anime. Perse o ritrovate)

Ho dimenticato la mia vita

In questi quarant’anni ho fatto tante cose. Ho amato e sono stato amato, mi sono emozionato di fronte a mille cose, ho superato difficoltà che sembravano insormontabili, e attraversato tante rivoluzioni, personali e professionali. Una vita ricca, insomma.

Il problema è che non me la ricordo.

E non parlo di amnesia, mi ricordo come mi chiamo, dove abito, dove ho abitato, le mie esperienze professionali, i miei amori, le tantissime persone che ho conosciuto, una per una. Mi ricordo tanti stati d’animo di tanti momenti importanti. I volti, non ne dimentico uno. Ma non mi chiedete di raccontarvi una serata, una vacanza, un aneddoto, una conversazione. Di ciò che ricordo non conservo una memoria narrativa, quanto piuttosto fotografica, ed emotiva. A volte rimango basito quando vecchi amici mi collocano in epici racconti di cui conservo appena una cornice sfumata. In quei momenti penso che vorrei fare un viaggio a ritroso, ricontattando persone a cui ho voluto bene e che non vedo da anni, e farmi raccontare da loro la mia vita. Ecco, mi piacerebbe scrivere un diario all’indietro, compilandolo giorno per giorno con tutte le piccole storie, tutti i dettagli che ho dimenticato, e che mi hanno trasformato in ciò che sono oggi.

E mentre sto scrivendo, mi rendo conto di aver avuto una bella idea per un film. Che forse potrebbe finire con una scena in cui il protagonista guarda il diario che ha appena finito di scrivere, accenna un sorriso, e lo getta nel mare. E poi si avvia di spalle, con le mani in tasca, mentre scorrono i titoli di coda.

Porte che si chiudono

Chi mi conosce cominciava a chiedersi se l’avrei mai fatto, questo trasloco di cui parlo da tanto tempo ma che sembrava non concretizzarsi mai. Segni di un futuro da non voler vivere, forse, un procrastinare per non voler chiudere davvero una porta che ha significato così tanto nei miei ultimi tre anni e mezzo.

Ma quando tra ieri sera e stamattina ho cominciato a rimuovere libri dalla grande expedit, e vestiti dall’armadio, e quando ho firmato la richiesta di noleggio del furgone classe B per venerdi 7, la realtà di un passo non più rimandabile si è mostrata davanti ai miei occhi con tutto il retrogusto amaro che ti aspetti, ma non ti aspetti; venerdi sposterò le mie poche cose dalla casa di Testaccio alla nuova casa di Via Oderisi da Gubbio, e la porta sul mio passato recente, forse anche dolorosamente recente, si chiuderà definitivamente, insieme a tutte le altre porte chiuse su cose belle, anche molto belle, negli ultimi anni, mesi, giorni, ore, minuti.

E così, oggi ho scelto di lasciare passare un po’ di dolore, che non puoi sempre contrastare. A volte devi lasciargli fare la sua strada e i suoi danni, l’unico modo che esista al mondo di elaborare i propri lutti e uscirne un po’ più robusti. Per poi andare avanti, ancora più forti di prima.

Bilanci appesi al muro

… e poi passo una sera immerso in un silenzio arredato da un film di spie, da fusa di gatte e dallo sfrigolio leggero del ghiaccio in un gin tonic, e i pensieri si incolonnano in un equazione spontanea che mi costringe a tracciare una linea con una mano malferma. Ed eccomi qui, a sommare numeri e parole, vuoti e pieni, assenze e oppressioni. Non so se voglio sapere quanto fa, in poche e concise parole: in fondo chi lo vorrebbe? Appendo i risultati al muro e vado a fingere di dormire, sapendo che mi guardano, e hanno paura. Più di me.

Le Gallerie!

Ma è mai possibile che nell’anno VIII del secolo XXI, gonfi di diavolerie elettroniche per essere connessi al mondo intero, in grado di effettuare complesse operazioni basate su web services che chiamano altri web services, capaci di accendere e spegnere le luci di casa con Twitter (per dire la tecnologia eh), non possiamo usare niente di tutto questo (ma nemmeno il TELEFONO) tra Roma e Firenze perchè…. perchè.. perchè ci sono le GALLERIE! Le GALLERIE! Questa insormontabile barriera architettonica ci impedisce di usare il TELEFONO per quasi due ore!

PS Non c’entra niente ma cercando su Google il link su Vimeo del tizio che spegne le luci usando Twitter, mi sono imbattuto in un articolo su Yahoo UK che ne parla senza linkarlo. E che solo Repubblica. Eddai.

Alla fine riaprì il blog

Questo blog, in forme diverse (ma neanche poi tanto) esiste dal 2001. Sette anni in cui la mia vita è cambiata in modi inimmaginabili, al punto che a rileggere i post di cinque sei anni fa, sono portato a pensare che a raccontare sia un’altra persona, e forse è proprio così.
Alla fine, anche se con un’attenzione maggiore ai video e alle storie, e molta minore (quasi zero anzi) alle geekerie come cura contro l’autoreferenzialità, questo sarà ancora, come è sempre stato, semplicemente un blog, una cosa bella, mia, di cui non posso e non voglio proprio fare a meno. Un ciao a chi è capitato in questi lunghi anni sulle mie parole, e a chi avrà voglia di scoprirle solo ora.

Reatracto 01 – Marc Mascort I Boix

Un paio di anni fa inizia quello che avrebbe dovuto diventare un format, ma che per ragioni di tempo (maledetto tempo) si è fermato al terzo episodio. Si trattava di brevi ritratti di designers o operatori culturali in genere, una finestra aperta su mondi magari un po’ meno noti, con un particolare taglio di montaggio e di ripresa. Questo è il primo dei tre, dedicato a una delle principali figure (oggi in realtà non più) dietro allo straordinario progetto Rojo Magazine di Barcellona

Ricominciare a bloggare

E’ sempre difficile ricominciare a scrivere sul proprio blog dopo mesi e mesi d’assenza. Quindi riparto da un post neutro, segnalando semplicemente a chi passa da queste parti (o chi annovera ancora il mio feed fra gli “aggregati”), che adesso ricomincio a bloggare. E non è una minaccia 🙂

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